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C’era…lo rulo de l’Infierno

Come ogni località balneare di un certo livello, anche Buonalbergo, sino alla fine degli anni Cinquanta, aveva i suoi lidi, dove frotte di bagnanti si recavano per sfuggire alla calura estiva.

A partire da “lo Lommardo” Panorama di Buonalbergo (BN) con il pontefino al ponte sulla 90 bis, scendendo lungo il corso del torrente Santo Spirito, di lidi ne trovavi parecchi. I più affollati erano quelli intorno al “rulo de la Passerella”, al “rulo de la Noce” e al “rulo a Cunnola”. Erano questi, però, lidi riservati a coloro che, appena in grado di tenersi a galla, non si curavano troppo del paesaggio, della limpidezza dell’acqua, della tranquillità propria delle spiaggette frequentate da rari bagnanti, ma ricercavano soltanto i bassi fondali.

Gli amanti della natura aspra e incontaminata, i nuotatori più esperti, i sub, i tuffatori, tutti coloro, insomma, che non si sarebbero bagnati se non in un’acqua trasparente, raggiungevano, a sud del paese, il lido più chic, quello del “rulo de l’Infierno”. Incassato tra alte rocce e circondato da una fitta vegetazione, là dove l’alveo del torrente si faceva più stretto e profondo, “lo rulo de l’Infierno”, uno specchio d’acqua di pochi metri quadrati, rappresentava per noi ragazzi la meta da raggiungere per essere ammessi in società. Nelle acque gelide di quel “rulo” si riceveva un secondo battesimo –  officiato dall’adulto di turno, che ti premeva il capo sott’acqua senza tanti complimenti – che ti abilitava ad inserirti tra i grandi.

Il “rulo” si raggiungeva passando “sott’a lo Castiello”Panorama di Buonalbergo con il "Castiello" e scendendo, spesso di corsa, tra le stoppie di campi falciati, costeggiando orti, estirpando e masticando radici di “margarizia”. Il sole ci arrivava tardi, verso le 10.30, e a quell’ora la riva del “rulo” cominciava ad animarsi. Si guardava l’acqua, per ora limpida, si lanciavano sassi per misurarne la profondità (3 metri, 3 metri e mezzo, ma per i più il “rulo” non aveva fondo, era la bocca dell’Inferno), si scommetteva sui giri che ciascuno sarebbe riuscito a percorrere a nuoto e sui tuffi più complicati da tentare. Subito i più impazienti, tra le minacce degli altri, saltellando sulle pietre come rane per non smuovere il limo, si lanciavano in acqua.

La festa cominciava. Uno dietro l’altro, i più temerari si tuffavano dai trampolini: chi dalla “morgia” grande, quella “de lo piscero”, in fondo; chi dalla “morgia” piccola, a destra; alcuni a testa in giù, altri a “cofano”. Tra un tuffo e l’altro si svolgevano le gare di velocità e di resistenza, nelle quali tutti erano impegnati nuotando negli stili più diversi e strani. A chi si stancava, “il rulo” offriva dei punti di appoggio, uno dei quali, sulla sinistra, terminava in una cavità semicircolare, coperta in parte da rami e da radici.

Dopo il bagno si passava al solarium, che si trovava una"Chianche" del ponte romano detto "de le chianche" ventina di metri più a valle. C’era una “morgia” enorme, abbastanza levigata e piatta, leggermente inclinata verso est, sulla quale ci distendevamo, insieme alle lucertole, quasi tutti nudi, confrontando le doti nascoste di ciascuno e paragonandole, a volte, alle nere e viscide bisce, che abitavano, non rare, tutti gli stagni. Chi non resisteva ai raggi cocenti del sole, poteva rinfrescarsi sotto una specie di doccia, che i più ingegnosi fra noi avevano costruito deviando un rivolo d’acqua e sistemando acconciamente delle “chianche”.

Intorno al solarium ferveva l’attività di ricerca e di sperimentazione degli scienziati: si gonfiavano e si scuoiavano rane, si accendevano fuochi con le lenti d’ingrandimento, si approntavano laccioli d’erba per catturare le lucertole, si studiavano le caratteristiche di ogni specie di insetti, si aprivano “cascette” di granchi per estrarne i figlioletti, si improvvisavano meridiane con “taccheri” conficcati nella sabbia. Ed era proprio l’ombra di un fuscello ad avvertirci quand’era ora di tornare a casa.

FontanaRisalire in paese comportava una vera fatica. Si rivolgeva al “rulo” un’ultima occhiata dall’alto, quasi un arrivederci, e con le gambe pesanti e la schiena battuta dal sole del meriggio si affrontava la scalata, con il pensiero rivolto alla fontana “de miez’a lo Palazzo” e a quella “de lo Municipio”.

C’era chi viveva, invece, adesso i suoi momenti più belli. Poco attratti dall’acqua e timorosi di scottarsi al sole, alcuni partecipavano alla gita al “rulo” aspettando il ritorno, quando, con dei guizzi furtivi, spogliavano gli orti di pomodori e cetrioli e alleggerivano gli alberi de “perume” e di fichi.

Lo “rulo de l’Infierno” per tante estati è stato per noi un vero paradiso. Il suo nome, forse, si riferiva a ciò che sarebbe diventato oggi: una cloaca fetida, alla quale non è possibile neppure tentare di avvicinarsi.


rulo: piccolo specchio d’acqua che si forma nell’alveo di un torrente al di sotto di una briglia o tra le rocce

lo Lommardo: la fontana del Lombardo

sott’a lo Castiello: sotto la rupe dove sorgeva il castello longobardo

margarizia: liquirizia

morgia: pietra di grandi dimensioni

de lo piscero: roccia lungo la quale scorreva un filo d’acqua

a cofano: accoccolato

chianche: pietre piane e levigate

cascette: l’addome delle femmine

taccheri: pezzetti di legno, ramoscelli

perume: prugne