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26
aprile 2007
Eugenio Montale, Ossi di seppia
Felicità raggiunta, si cammina
per te su fil di lama.
Agli occhi sei barlume che vacilla,
al piede, teso ghiaccio che s'incrina;
e dunque non ti tocchi chi più t'ama.
Se giungi sulle anime
invase
di tristezza e le schiari, il tuo mattino
è dolce e turbatore come i nidi delle cimase.
Ma nulla paga il pianto del bambino
a cui fugge il pallone tra le case.
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24
aprile 2007
Eugenio Montale, Mediterraneo
Antico, sono ubriacato dalla voce
ch'esce dalle tue bocche quando si schiudono
come verdi campane e si ributtano
indietro e si disciolgono.
La casa delle mie estati lontane,
t'era accanto, lo sai,
là nel paese dove il sole cuoce
e annuvolano l'aria le zanzare.
Come allora oggi in tua presenza impietro,
mare, ma non più degno
mi credo del solenne ammonimento
del tuo respiro. Tu m'hai detto primo
che il piccino fermento
del mio cuore non era che un momento
del tuo; che mi era in fondo
la tua legge rischiosa: essere vasto e diverso
e insieme fisso:
e svuotarmi così d'ogni lordura
come tu fai che sbatti sulle sponde
tra sugheri alghe asterie
le inutili macerie del tuo abisso.
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23
aprile 2007
Giacomo Leopardi, Canti
Alla Luna (XIV)
O graziosa luna, io mi rammento
che, or volge l'anno, sovra questo colle
io venia pien d'angoscia a rimirarti:
e tu pendevi allor su quella selva
siccome or fai, che tutta la rischiari.
Ma nebuloso e tremulo dal pianto
che mi sorgea sul ciglio, alle mie luci
il tuo volto apparia, che travagliosa
era mia vita: ed è. né cangia stile,
o mia diletta luna. E pur mi giova
la ricordanza e il noverar l'etate
del mio dolore. Oh come grato occorre
nel tempo giovanil, quando ancor lungo
la speme e breve ha la memoria il corso,
il rimembrar delle passate cose,
ancor che triste, e che l'affanno duri!
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20
aprile 2007
Gabriele d'Annunzio, Alcyone
Romae frugiferae dic.
Ove sono i cavalli del sole / criniti
di furia e di fiamma?
le code prolisse / annodate con liste
di porpora , l'ugne / adorne di lampi
su l'aride ariste?
Ove l'aie come circhi, / le trebbie come pugne,
come atleti la rustica prole?
Ove sono i cavalli del Sole / disgiunti dal carro celeste?
Ove le sferze sonanti, / le rèdine lunghe sbandite,
il tinnir dei metalli, / il brillar di madide groppe?
Ove gli urli, i canti, ove i balli?
Ove la femmina bella / coperta di loppe e di reste
come d'ori e di gemme?
Ove gli scherni, le risse, / le nude coltella,
il sangue che fuma e che bolle,
il giovine ucciso che cade / nelle sue biade
asperse del suo ricco sangue / e del vin suo vermiglio?
Ove il tuo nome, o Dionìso, /e il tuo riso e il tuo furore
e il tuo periglio?
Qui scarsa mèsse / per piccole vite,
aria angusta, fatica molle, / mani prudenti, fievoli gole.
O Maremme, o Maremme, / bellezza immite
nata dalla Febbre e dal Sole,
o regni diurni di Dite, / voi l'anima mia sogna!
O Roma, o Roma, la prima / davanti alla faccia del Sole,
incombustibile forza / semenza di gloria,
unica nata dal solco / del violento
ardua spica opima,
te l'anima mia sogna ed agogna / in un mar di frumento,
dal Cimino solitario / ai vitiferi colli dei Volsci,
fino al Minturno ov'erra / nel limo l'ombra di Mario,
fino a Sinuessa / ebra di Massico forte,
fino alle auree porte della Campania promessa,
in un mar di frumento / innumerevole
come le trionfate stirpi / dalla tua guerra!
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19
aprile 2007
Anna Maria Ortese
[La nuvola ricordo...]
La nuvola ricordo / che mi guardava a sera
rossa vanendo. Dissi: / «Nuvola, così era
per me una volta. Rossa / nuvola nella sera
guardavo e non sapevo, / credevo quell'aurora
interminata. L'ora / venne per me. Che fai,
che aspetti, o solitaria / nuvola in cielo? Un attimo
trascorre, e più non sei / di quell'intatto rosa
ch'io seppi, famosa / felicità di un solo
attimo, non ricordo / quando, in che cielo.
O nuvola, non piangi / tu di spavento a entrare
nel vuoto lilla blu, / nel nero cielo? Sei
tu così bella, e passi. / O nuvola, non piangere,
ti prego, non sciupare / ribellandoti questa
necessità: passare».
Ma nuvola, del tuo / colore mi ricordo,
della disperazione / inaccennata, il rosso
tuo colore ricordo. / Io prego che ti basti.
Che ti ricordi, prego / creatura sovrumana,
della mia pena strana / dissolvendoti, e ancora
nel viola agonizzando. / Com'era bello il rosso,
e lo perdemmo. È vano / l'interrogare. Passa
l'umano, e l'inumano / lo segue. Passa
ogni cielo: stregati / stanno cieli non veri.
«O nuvola mia
vera» / dissi «perciò non piangere.
ché un altro cielo deve, un'altra patria esistere».
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18
aprile 2007
Giuseppe Villaroel
Primavera
Il sole batte, con le dita d'oro,
alle finestre. Uno squittio sottile
è sui tetti. Nell'orto la fontana
ricomincia a cantare. È
primavera.
Le chiese, in alto, con le croci accese,
i monti immensi con le cime rosa,
le strade bianche con gli sfondi blu.
È primavera.
È primavera. Il cielo
spiega gli arazzi delle nubi al vento.
L'albero gemma. Vérzica la terra.
Nel cortile la pergola è fiorita.
Ai balconi, le donne in vesti chiare.
È primavera. È primavera. E il mare
ha un riso azzurro e un brivido di seta.
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17
aprile 2007
Mario Luzi
[Vola alta, parola...]
Vola alta, parola, cresci in profondità,
tocca nadir e zenith della tua significazione,
giacché talvolta lo puoi
- sogno che la cosa esclami
nel buio della mente -
però non separarti
da me, non arrivare,
ti prego, a quel celestiale appuntamento
da sola, senza il caldo di me
o almeno il mio ricordo, sii
luce, non disabitata trasparenza...
La cosa e la sua anima?
o la mia e la sua sofferenza?
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16
aprile 2007
Bertolt Brecht, Poesie
Aria del dio della felicità
Mi fai spuntar le lagrime, fratello,
vedo che la tua vita non è allegra.
Ecco una mela: io ne possiedo tre,
perciò una la regalo a te.
Non ci vedo niente di eccezionale:
e l'uno e l'altro possiamo vivere.
Solo i semi, promettimelo,
avido non inghiottirli,
sputali invece a terra
prima che mi allontani.
E se poi cresce un melo
dentro il tuo campicello
vieni a prenderti i frutti:
è il tuo albero, quello.
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13
aprile 2007
Percy Bysshe Shelley
La nuvola
Io sono la figlia della Terra e dell'Acqua,
la pupilla del cielo;
passo attraverso i pori del mare e delle rive;
mi trasformo,
ma non posso morire -
giacché dopo la pioggia,
quando senza una macchia
il padiglione del Cielo è nudo,
e i venti e il sole,
coi suoi raggi dai convessi bagliori,
fanno l'azzurra cupola dell'aria -
io silenziosamente rido del mio cenotafio,
e dalle grotte della pioggia,
come un bimbo dal grembo,
come uno spettro dalla tomba,
risorgo, e lo ridisfo ancora.
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12
aprile 2007
Gianni Rodari
Una scuola grande come il mondo
C'è una
scuola grande come il mondo,
ci insegnano maestri, professori,
avvocati, muratori,
televisori, giornali,
cartelli stradali,
il sole, i temporali, le stelle.
Ci sono lezioni facili
e lezioni difficili,
brutte, belle e così così.
Ci si impara a parlare, a giocare,
a dormire, a svegliarsi,
a voler bene e perfino
ad arrabbiarsi.
Ci sono esami tutti i momenti,
ma non ci sono ripetenti:
nessuno può fermarsi a dieci anni,
a quindici, a venti,
e riposare un pochino.
Di imparare non si finisce mai,
e quel che non si sa
è sempre più importante
di quel che si sa già.
Questa scuola è il mondo intero
quanto è grosso:
apri gli occhi e anche tu sarai promosso.
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11
aprile 2007
Matteo
Maria Boiardo
Il canto de
li augei de fronda in fronda
e lo odorato vento per li fiori
e lo ischiarir de' lucidi liquori,
che rendon nostra vista più ioconda,
son perchè la Natura e il Ciel seconda
costei, che vuol che 'l mondo se inamori;
così di dolci voci e dolci odori
l'aria, la terra è già ripiena e l'onda.
Dovunque e' passi move on gira il viso,
fiamegia uno spirto si vivo d'amore
che avanti a la stagione il caldo mena.
Al suo dolce guardare, al dolce riso
l'erba vien verde e colorito il fiore,
e il mar se aqueta e il ciel se raserena.
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7-10
aprile 2007
Dante Alighieri, La
Divina Commedia
Inferno, I, 37-43
Temp'era dal
principio del mattino,
e 'l sol montava 'n sù con quelle stelle
ch'eran con lui quando l'amor divino
mosse di prima quelle cose belle;
sì ch'a bene sperar m'era cagione
di quella fiera a la gaetta pelle
l'ora del tempo e la dolce stagione;
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5
aprile 2007
Nazim Hikmet,
Poesie
Non vivere
su questa terra come un inquilino
[…]
saziarsi della vita, figlio mio,
è impossibile.
Non vivere su questa terra
come un inquilino
o come un villeggiante stagionale.
Ricorda:
in questo mondo devi vivere saldo
vivere
come se fosse la casa di tuo padre.
Credi al grano alla terra al mare
ma soprattutto all’uomo.
Ama la nuvola la macchina il libro
ma prima di tutto ama l’uomo.
Senti in fondo al tuo cuore
il dolore del ramo che secca,
della stella che si spegne,
della bestia ferita,
ma prima di tutto
il dolore dell’uomo.
Godi di tutti i beni terrestri,
del sole della pioggia e della neve,
dell’inverno e dell’estate,
del buio e della luce,
ma prima di tutto
godi dell’uomo.
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4
aprile 2007
Umberto Saba, Il
canzoniere
Morte di un pettirosso
Un gentile
uccelletto, un pettirosso,
delizia della casa, della casa
diventato il padrone, un vizio aveva
grave: era troppo curioso. Metteva
sé dappertutto (un giorno lo trovarono
fino dentro a una scarpa). Poi fuggito
lo dicevano i bimbi inconsolabili,
che lo piansero a lungo. Ma fuggito
non era: lo rinvenne, con un grido
di spavento e d’orrore, la domestica,
come, a deporvi il bucato, riapriva
quell’armadio. Era lui, morto e stecchito.
Giudici gravi e
togati sedettero
per giudicare della colpa. Forse,
troppo svelta nel chiudere un cassetto,
la donna? O indiscrezione d’uccelletto,
in suo libero arbitrio entrato dove
mai avrebbe dovuto? La causa,
in qualche luogo, si discute ancora.
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3
aprile 2007
Catullo, Canti
III
Lugete, o Veneres Cupidinesque
et quantum hominum venustiorum.
passer mortuus est meae puellae,
passer, deliciae meae puellae,
quem plus illa oculis suis amabat:
nam mellitus erat suamque norat
ipsam tam bene quam puella matrem,
nec sese a gremio illius movebat,
sed circumsiliens modo huc modo illuc
ad solam dominam usque pipiabat.
qui nunc it per iter tenebricosum
illuc unde negant redire quemquam.
at vobis male sit, malae tenebrae
Orci quae omnia bella devoratis:
tam bellum mihi passerem astulistis.
o factum male! o miselle passer!
tua nunc opera meae puellae
flendo turgiduli rubent ocelli.
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2
aprile 2007
Anna Maria Ortese, Il
porto di Toledo
[Primavera ben
presto]
Primavera ben presto
sarà fra noi; le sere
s'allungheranno tiepide e una grande
luce vedrai
nelle finestre limpide fiammare.
Barche andranno nel lieve scintillìo
dei remi sopra l'acqua
morbide; e qua cantare
sentirai, nella piazza alta i fanciulli
grideranno. Stupore
ti prenderà, mio cuore.
Io starò sopra questo
tenero davanzale, e lenta arcana
mi tornerà memoria
d'altre sere, e la storia
grande vedrò, smarrita come il mare.
Questa la primavera? E i miei capelli
già lievemente splendono al soave
tocco del tempo, e il viso
già i segni porta, mesti, di bufera.
Presto la luna splenderà frattanto
sopra l'onde serene,
rivelando le barche ed una strada
dorata in mezzo del celeste mare.
E tu più forte udrai
al ballo i passi delle giovanette,
dentro le buie camere da festa
travolte e più gridare
con i fanciulli sentirai le rondini.
Tu starai sola in casa, e la memoria
ti assalirà, dipinta di stupore,
d'altre sere beate.
Che tempo fu? Che strano paradiso mai quello?
Ricorderai tu, lenta,
mentre la festa aumenta e nelle case
scopre la luna il viso alle fanciulle,
i suoi labili accenti,
gli occhi che ti miravano contenti.
Strana bene è la vita,
reprimendo i lamenti,
e mirando la gran festa, dirai.
E un po' sarai turbata, quella sera
che già s'accosta, della primavera.
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