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31 maggio 2007
Mario Luzi, Quaderno gotico
I
Di nuovo
gli astri d'amore traversano
lucidi sulle nostre teste opache
là dove noi sediamo inconsapevoli
su opposte rive. E appare naturale
non averti veduta mai né udita
ed affiggerti in una luce antica.
Desiderio
o rimpianto? Desiderio
e rimpianto, una sola febbre amara.
Raggiava nel cristallo un vino astrale,
un sole fuso che bevevi a sorsi
e fissavi la dura cecità del paesaggio.
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30 maggio 2007
Leonardo Sinisgalli, Vidi
le Muse
II
I
fanciulli battono le monete rosse
Contro il muro. (Cadono distanti
Per terra con dolce rumore). Gridano
A squarciagola in un fuoco di guerra.
Si scambiano motti superbi
E dolcissime ingiurie. La sera
Incendia le fronti, infuria i capelli.
Sulle selci calda è come sangue.
Il piazzale torna calmo.
Una moneta battuta si posa
Vicino all'altra alla misura di un palmo.
Il fanciullo preme sulla terra
La sua mano vittoriosa.
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29 maggio 2007
Anacreonte
(da "LIRICI GRECI" di S. Quasimodo)
Vento
Vibra il
cupo fogliame
del lauro e del verde pallido ulivo.
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28 maggio 2007
Eugenio Montale
Tramontana
Ed ora
sono spariti i circoli d'ansia
che discorrevano il lago del cuore
e quel friggere vasto della materia
che discolora e muore.
Oggi una volontà di ferro
spazza l'aria,
divelle gli arbusti, strapazza i palmizi
e nel mare compresso scava
grandi solchi crestati di bava.
[...]
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25 maggio 2007
Umberto Saba
Donna
Quand'eri
giovinetta pungevi
come una mora di macchia. Anche il piede
t'era un'arma, o selvaggia.
Eri difficile a prendere.
Ancora
giovane, ancora
sei bella. I segni
degli anni, quelli del dolore, legano
l'anime nostre, una ne fanno. E dietro
i capelli nerissimi che avvolgo
alle mie dita, più non temo il piccolo
bianco puntuto orecchio demoniaco.
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24 maggio 2007
Giuseppe Ungaretti,
Vita di un uomo
San Martino del Carso
Valloncello dell'Albero Isolato il 27 agosto 1916
Di queste
case
non è rimasto
che qualche
brandello di muro
Di tanti
che mi corrispondevano
non è rimasto
neppure tanto
Ma nel cuore
nessuna croce manca
È il mio cuore
il paese più straziato
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23 maggio 2007
Arturo Onofri,
Vincere il drago!
57
Con un'arancia in mano,
abita il prato
un fanciullo di luce e d'aria tenue.
Gloria di suoni e d'ali, e risa ingenue
e profumi celesti hanno creato
il suo bel capo biondo
ove sorride il mondo.
Fili di sole e uccelli
lampeggianti
fanno ghirlanda angelica al suo riso,
esalando, in quel volto, un paradiso
tessuto in oro tacito dai canti
degli angeli corali,
che fanno rullíi d'ali.
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22 maggio 2007
Camillo Sbarbaro,
Pianissimo
I
Taci, anima stanca di
godere
e di soffrire - all'uno, all'altro vai
rassegnata -
Ascolto e non mi giunge una tua voce.
Non di rimpianto per la miserabile
giovinezza, non d'ira o di rivolta
e neppure di tedio.
Ammutolita
giaci col corpo in una disperata
indifferenza.
Non ci stupiremmo,
non è vero, mia anima, se adesso
il cuore s'arrestasse, se sospeso
ci fosse il fiato...
Invece camminiamo.
E gli alberi son alberi, le case
sono case, le donne
che passano son donne e tutto è quello
che è - quello che è.
La vicenda di gioia e di dolore
non ci tocca. Perduto ha la voce
la sirena del mondo e il mondo è un grande
deserto.
Nel deserto
io guardo con asciutti occhi me stesso.
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21 maggio 2007
Farfa
Dalla superba
chioma dell'acacia
ravvivata dal pettine del vento
graziosamente sfuggivano
riccioli di passeri cantori
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18 maggio 2007
Giacomo Leopardi,
Canti
Il
sabato del villaggio
La donzelletta vien dalla campagna,
in sul calar del sole,
col suo fascio del'erba; e reca in mano
un mazzolin di rose e di viole,
onde, siccome suole,
ornare ella si appresta
dimani , al dì di festa, il petto e il crine.
Siede con le vicine
su la scala a filar la vecchierella,
incontro là dove si perde il giorno;
e novellando vien del suo buon tempo,
quando al dì della festa ella si ornava,
ed ancor sana e snella
solea danzar la sera intra di quei
ch'ebbe compagni dell'età più bella.
Già tutta l'aria imbruna,
torna azzurro il sereno, e tornan l'ombre
giù da' colli e da' tetti,
al biancheggiar della recente l'una.
Or la squilla dà segno
della festa che viene;
ed a quel suon diresti
che il cor si riconforta.
I fanciulli gridando
su la piazzuola in frotta,
e qua e là saltando,
fanno un lieto romore:
e intanto riede alla sua parca mensa,
fischiando, il zappatore,
e seco pensa al dì del suo riposo.
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Poi quando intorno
è spenta ogni altra face,
e tutto l'altro tace,
odi il martel picchiare, odi la sega
del legnaiuol, che veglia
nella chiusa bottega alla lucerna,
e s'affretta, e s'adopra
di fornir l'opra anzi il chiarir dell'alba.
Questo di sette è il più gradito giorno,
pien di speme e di gioia:
diman tristezza e noia
recheran l'ore, ed al travaglio usato
ciascuno in suo pensier farà ritorno.
Garzoncello scherzoso,
cotesta età fiorita
è come un giorno d'allegrezza pieno,
giorno chiaro, sereno,
che precorre alla festa di tua vita.
Godi, fanciullo mio; stato soave,
stagion lieta è cotesta.
Altro dirti non vo'; ma la tua festa
ch'anco tardi a venir non ti sia grave. |
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17
maggio 2007
Marino Moretti
La signora Lalla
Quando l'anima è stanca e
troppo sola
e il cuor non basta a farle compagnia,
si tornerebbe discoli per via,
si tornerebbe scolaretti a scuola.
Ma sì, prendiamo la
cartella scura,
il calamaio in forma di barchetta,
i pennini, la gomma, la cannetta,
la storia sacra e il libro di lettura.
Andiamo, dunque: il tema è
messo in bella;
andiamo, andiamo: il tema è messo in buona;
Dio, come è tardi! La campana suona,
tra poco sonerà la campanella.
Ma che dico? è domenica, è vacanza!
Non c'è scuola quest'oggi, solamente
c'è da imparare un po' di storia a mente
soli, annoiati, nella propria stanza.
C'era una volta (ora mi
viene a mente)
la scuola della festa: era una scuola
alla buona, così, con una sola
maestra, vecchia, senza la patente.
Signora Lalla, dove sei?
T'aggiri
nella tua casa piena di panchetti
e su un quaderno scrivi un 5 o metti
un punto sopra un i con due sospiri?
Signora Lalla, hai più
quel mio ritratto
ch'io ti donai per Sant'Eulalia? e quella
treccia, in un quadro, d'una tua sorella
defunta? e l'altarino è ancora intatto?
Forse sei morta. Ed i tuoi
strani oggetti
sono scesi con te, con la tua spoglia
dentro la fossa. La tua casa è spoglia
dei quadri, dei presepi e dei panchetti.
Che importa? Io t'amo e tu
sei viva, o muta
immagine che guardi i miei quaderni
d'ora e i noti caratteri vi scerni
con uno sguardo di sopravvissuta.
Come son vani, come son
diversi,
signora Lalla, i miei compiti d'ora.
Dimmi, vuoi riguardarmeli tu ancora?
Sembra uno scherzo, ma son tutti in versi.
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16
maggio 2007
Aldo Palazzeschi
Chi sono?
Son forse un poeta?
No, certo.
Non scrive che una parola, ben strana,
la penna dell'anima mia:
«follía».
Son dunque un pittore?
Neanche.
Non ha che un colore
la tavolozza dell'anima mia:
«malinconía».
un musico, allora?
nemmeno.
Non c'è che una nota
nella tastiera dell'anima mia:
«nostalgía».
Son dunque...che cosa?
Io metto una lente
davanti al mio cuore
per farlo vedere alla gente.
Chi sono?
Il saltimbanco dell'anima mia.
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15
maggio 2007
Corrado Govoni
Villa chiusa
So d'una villa chiusa e abbandonata
da tempo immemorabile, segreta
e chiusa come il cuore d'un poeta
che viva in solitudine forzata.
La
circonda una siepe, e par murata,
di amaro bosso, e l'ombra alla pineta
da tanto più non rompe né più inquieta
la ciarliera fontana disseccata.
Tanta è la
pace in questa intisichita
villa che sembra quasi che ogni cosa
sia veduta a traverso d'una lente.
Solo una ventarola
arrugginita
in alto, su la torre silenziosa,
che gira, gira interminatamente.
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14
maggio 2007
Charles Baudelaire, Les fleurs du mal
L'albatro
Sovente, per diletto, i marinai
catturano degli albatri, grandi uccelli marini
che seguono, indolenti compagni di viaggio,
il bastimento scivolante sopra gli abissi amari.
Appena li hanno
deposti sulle tavole,
questi re dell'azzurro, goffi e vergognosi,
miseramente trascinano ai loro fianchi le grandi,
candide ali quasi fossero remi.
Com'è intrigato,
incapace, questo viaggiatore alato!
Lui, poco addietro così bello, com'è brutto e ridicolo!
Qualcuno irrita il suo becco con una pipa,
mentre un altro, zoppicando, mima l'infermo che prima volava.
E il Poeta
assomiglia in tutto al principe delle nubi
che è avvezzo alle tempeste e ride dell'arciere:
esiliato in terra, fra gli scherni,
non può per le sue ali da gigante avanzare di un passo.
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11
maggio 2007
Gabriele d'Annunzio, Canto novo
VIII
Si frangono l'acque odorose
con fievole musica al lido;
scintillano l'Orse nel cielo profondo:
un filo di luna su 'l mar tramontò.
A tratti da l'aie
lontane
mi giungono i canti co 'l vento;
scintillano l'Orse nel cielo profondo:
da presso è Boote che in ciel le guidò.
Il lento respir de
la selva
riempie le pause del mare;
scintillano l'Orse nel cielo profondo
e il Cigno che l'alma Testìade amò.
Un brivido corre; le vene
un gelo divino m'invade...
Son pallide l'Orse nel cielo profondo:
è il segno de l'alba che già si destò.
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10
maggio 2007
Costantino Kavafis
Interruzione
L'opera degli dei l'interrompiamo noi,
creature dell'attimo smaniose e ignare, noi.
In mezzo ad alte fiamme e cupe fumate,
nelle regge d'Eleusi e di Ftia
Demetra e Teti opere grandi avviano.
Ma dalle regie stanze, sconvolta, scarmigliate
le chiome, Metanira balza sempre, e sgomento
sempre s'avanza Péleo, col suo stolto intervento.
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9
maggio 2007
Corrado Govoni
La trombettina
Ecco che cosa resta
di tutta la magia della fiera:
quella trombettina
di latta azzurra e verde
che suona una bambina
camminando scalza, per i campi.
Ma, in quella nota sforzata,
ci son dentro i pagliacci bianchi e rossi,
c'è la banda d'oro rumoroso,
la giostra coi cavalli, l'organo, i lumini.
Come nel sgocciolare della gronda,
c'è tutto lo spavento della bufera,
la bellezza dei lampi e dell'arcobaleno;
nell'umido cerino d'una lucciola
che si sfa su una foglia di brughiera,
tutta la meraviglia della primavera.
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8
maggio 2007
Umberto Saba, Il Canzoniere
Favoletta alla mia bambina
Non piangere bimba, non t'accrescer pene;
da sé ritorna, se torna, il tuo bene.
Un merlo avevo, coi suoi occhi d'oro
cerchiati, col palato e il becco d'oro;
cui di pinoli e di vermetti in serbo
io nascondevo un tesoro.
Schivo con gli altri; con me, di ritorno
dalla scuola, festoso; e tutte, io dico,
intendere sapeva il caro amico
le mie parole; onde il dolce e l'acerbo
di due anni a lui dissi, a lui soltanto.
E un giorno mi fuggì; fuor del poggiolo
mi fuggì nella corte. Alto il mio pianto,
alto suonava; alle finestre intorno
corse la gente ad affacciarsi; invano
lo perseguivo, il caro nome invano
ripetevo; di tetto in tetto errando,
più sempre in vista piccolo e lontano,
irridere pareva al grande mio
dolore, al disperato dolor mio.
Quel che ho sofferto non puoi bimba tu
saperlo; tutto era perduto; e quando
io non piangevo, io non speravo più,
l'alato amico ritornò egli solo
alla sua casa, all'esca di un pinolo.
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7
maggio 2007
Salvatore Quasimodo, Oboe sommerso
L' Eucalyptus
Non una dolcezza mi matura,
e fu di pena deriva
ad ogni giorno
il tempo che rinnova
a fiato d'aspre resine.
In me un albero oscilla
da assonnata riva,
alata aria
amare fronde esala.
M'accori, dolente rinverdire,
odore dell'infanzia
che grama gioia accolse,
inferma già per un segreto amore
di narrarsi all'acque.
Isola mattutina:
raffiora a mezza luce
la volpe d'oro
uccisa a una sorgiva.
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3
maggio 2007
Umberto Saba, Il Canzoniere
L' arboscello
Oggi il tempo è di
pioggia.
Sembra il giorno una sera,
sembra la primavera
un autunno, ed un gran vento devasta
l'arboscello che sta - e non pare - saldo;
par tra le piante un giovanetto alto
troppo per la sua troppo verde età.
Tu lo guardi: Hai pietà
forse di tutti quei candidi fiori
che la bora gli toglie; e sono frutta,
sono dolci conserve
per l'inverno quei fiori che tra l'erbe
cadono. E se ne duole la tua vasta
maternità.
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2
maggio 2007
Salvatore Di Giacomo, Canzone
Era de maggio...
Era de maggio e te
cadeano nzino
a schiocche a schiocche li ccerase rosse,
fresca era ll'aria e tutto lu ciardino
addurava de rose a ciente passe.
Era de maggio; io, no, nun me scordo,
na canzona cantàvemo a doie voce;
cchiù tiempo passa e cchiù men'allicordo,
fresca era ll'aria e la canzona doce.
E diceva:
«Core, core!
core mio, luntano vaie;
tu me lasse e io conto ll'ore,
chi sa quanno turnarraie!».
Rispunneva io: «Turnarraggio
quanno tornano li rrose,
si stu sciore torna a maggio,
pure a maggio io sto ccà».
E so' turnato, e mo, comm'a na
vota,
cantammo nzieme lu mutivo antico;
passa lu tiempo e lu munno s'avota
ma ammore vero, no, nun vota vico.
De te, bellezza mia, m'annammuraie,
si t'allicuorde, nnanz'a la funtana:
l'acqua llà dinto nun se secca maie
e ferita d'ammore nun se sana.
Nun se sana: ca sanata
si se fosse, gioia mia,
mmiezzo a st'aria mbarzamata
a guardarte io nu' starria!
E te dico: «Core, core!
core mio, turnato io so',
torna maggio e torna ammore,
fa de me chello che buo'!»
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