PRESENTAZIONE LATITUDINE E LONGITUDINE GEOLOGIA CLIMA IDROGRAFIA FAUNA FLORA POPOLAZIONE CENSIMENTO 1981 SETTORE PRIMARIO SETTORE SECONDARIO SETTORE TERZIARIO
A T T I V I T A' E C O N O
M
I C H E
AGRICOLTURA
Ho già
avuto modo di dire che, fra i settori di attività, quello
agricolo
conta il maggior numero di addetti, ma non
è
certamente il
più redditizio. Nonostante lo sviluppo che ha interessato anche il
mio mondo agricolo, permangono ancora quelle cause geografiche,
storiche e sociali che da sempre hanno ostacolato l'incremento della
produttività
e del reddito. Tra i fattori principali vanno annoverati: 1) la
scarsa
fertilità del suolo;
2)
l'adozione di colture poco redditizie;
3) l'alta percentuale di lavoratori agricoli, nonostante che sia
diminuita la necessità di manodopera a causa della meccanizzazione;
4)
la
scarsità dei capitali investiti; 5) il perpetuarsi
del latifondismo insieme alla polverizzazione e alla frammentazione
della
proprietà; 6) la mancanza di qualificazione professionale
degli addetti; 7) l'insufficiente meccanizzazione; 8) la fuga dai
campi da parte
dei
giovani e, quindi, senilizzazione ed elevata presenza femminile
nel lavoro agricolo; 9) la mancata diffusione di
una
mentalità
cooperativistica
IO) la mancanza di
infrastrutture che favoriscano
insieme
l'aumento della produzione e la trasformazione
e la
commercializzazione
dei prodotti agricoli.
Data
questa
situazione,
è
impossibile
sperare che
nel
futuro
prossimo
si passi ad un
tipo
di
agricoltura
altamente qualificato.
Attraverso
le
cifre
del
3°Censimento generale dell'agricoltura,
effettuato
il
24
ottobre
1982 - i dati sono stati
pubblicati
nel
1986
- si
può
tentare
un'analisi
approfondita del settore
primario.
Quasi
tutte
le
aziende,
il
95 per cento, proprietarie
soltanto
del
68,8
per
cento
della
superficie
totale, si
servono
esclusivamente
di
manodopera
familiare.
La
figura
del
proprietario
coltivatore
appare
ancora
più netta,
se aggiungiamo
un altro
2 per cento e più di aziende
che risultano
condotte
dallo
stesso
proprietario insieme
a familiari
e a
persone
estranee.
Soltanto 4 aziende si servono di salariati agricoli,
e 3
sono a mezzadria. Quest'ultima forma di gestione di un'azienda
agraria,
che vede il proprietario e l'agricoltore associati
nella conduzione
del terreno, con la divisione delle spese, dei prodotti
e
dei
guadagni, non si
è
mai diffusa qui da me ed oggi,
come si vede,
è
quasi del
tutto scomparsa.
La presenza contemporanea di due fenomeni contrastanti,
quali
il
latifondismo e la polverizzazione
della proprietà,
è
messa in evidenza dalla
tavola n.2. Qui si rileva che il 74,4 per
cento delle aziende
è
proprietario di fondi minimi, fino a cinque ettari, che
rappresentano soltanto
il 20,7 per cento della superficie agricola totale.
D'altro canto vi sono 5 aziende, in percentuale lo 0,99, che posseggono
in media 131 ettari, che insieme coprono il 26,6 per cento dell'intera
superficie. Non
è
facile individuare le cinque
grandi aziende
censite, ma senz'altro non ci si trova di fronte ad un caso di
latifondismo
vecchia maniera, ma a qualche forma di cooperativismo e di
associazione di famiglie con legami di parentela, che lavorano
la
terra
con sistemi
più
moderni.
La
superficie
media
delle aziende
è
poco
superiore
a 6 ettari,
uguale
a quella
del
Mezzogiorno
e più bassa di quella nazionale,
che
è
di
7,2 ettari.
Per
quanto
riguarda la destinazione
del
suolo
si
hanno
le
seguenti ripartizioni.
Più
della metà
della
superficie
è
utilizzata
per i seminativi; il 6 per
cento
per le
coltivazioni
permanenti;
l'11
per
cento
è
costituita
da
prati
e
pascoli
e
il
15 per
cento
da boschi.
Il 74 per cento della superficie destinata ai
seminativi
è
coltivata a cereali e di essa il 50 per cento
è
occupata dal grano, che rimane la mia coltura principe, perché ben si adatta ai terreni poco
fertili e alle alte quote. Le varietà di grano più diffuse sono la
"cappella” (Senatore Cappelli), grano duro, e la "risciola", grano
tenero. Altre varietà coltivate sono la "carosella”,
il "bianchetto" e la "marzellina", che si semina a marzo in alta
montagna. La coltivazione del duro
è
praticata soprattutto nella parte
bassa del mio territorio, quella del tenero a quote più elevate.
La resa, ora che la terra viene arata con i trattori ed anche la
semina
è
effettuata con mezzi meccanici, si
è
più che raddoppiata rispetto a prima. Oggi si ottiene da 15 a 20
volte la quantità di grano seminata per tomolo, circa 80 Kg, mentre
una volta, nelle annate buone, essa, circa 50 Kg, aumentava di 7
volte. La resa per ettaro
è
pari, quindi, a 30 quintali in media, ma nei terreni più fertili e
ben concimati può giungere fino a 50. Parte della quantità di grano
prodotta, che
è
superiore al fabbisogno interno, viene esportata in altre province
della nostra regione o delle regioni limitrofe.
La coltivazione del granturco, molto praticata anni addietro,
è
stata quasi del tutto soppiantata da quella del tabacco. L'uso del
granone (radinio) per l'alimentazione umana si limita alla
preparazione della polenta e della pizza gialla, tutto il restante
è
adoperato come mangime per gli animali. Un tempo non molto lontano,
le brattee (frusci) della pannocchia erano usate per riempire i
materassi, e ogni mattina la donna di casa era costretta a
rimetterle in piano con la fòrcola (furcina). Altre piante coltivate e adoperate come foraggio sono l'avena, la lupinella, le fave, la sulla, l'erba medica, la veccia e l'orzo.
Alcune erbe crescono spontanee tra il grano, soprattutto i
"raldi" e "l'uogghi".
Con questi ultimi, la cui forma è assai simile a quella
del grano, una
volta si facevano il pane e la pizza, che procuravano
in chi li mangiava gli effetti di uno stupefacente.
Per
fare
il pane, un pane nero, erano anche usate
le
"tonache", una
leguminosa,
che
insieme
alle "chichierchie",
simili a semi di piselli
schiacciati, si piantavano con il granturco.
I miei contadini producono in quantità limitate,
ma
di buona qualità,
anche fagioli, ceci,
piselli e lenticchie.
La tecnica della rotazione
triennale per
la coltivazione
dei cereali,
cioè l'utilizzazione
dello stesso appezzamento
di
terreno
il primo
anno per il grano, l'anno successivo per
l'avena e il terzo anno per un altro foraggio,
non viene quasi più praticata dopo l'introduzione
dei fertilizzanti
chimici.
Le
colture
ortofrutticole,
a cui è riservato soltanto l'uno per
cento
della SAU (Superficie
Agricola Utilizzata), sono scarsamente
sviluppate; esse soddisfano per lo più le esigenze
familiari.
Si
producono pomodori
di diverse varietà, peperoni, finocchi, zucche, zucchini,
agli, barbabietole,
patate, bietole, carciofi, carote,
broccoli,
cavolfiori,
rape, verze, cetrioli, cipolle, fagiolini,
melanzane
e vari tipi
di
verdure per insalata.
Alle
colture legnose,
vite e olivo in particolare,
è riservata
una superficie di 142 ettari, divisa tra 379 aziende, con una media
di poco superiore a 37 are (3700 mq, poco più di un tomolo).
Nonostante l’aumento delle piantagioni e il ricorso a varietà di uve
più pregiate e con una maggiore resa, la produzione di vino è ancora
insufficiente rispetto alla richiesta locale. Eppure la domanda non
è eccessivamente alta, perché i miei abitanti preferiscono come
bevanda la birra.
Anche
la
coltivazione
dell'olivo,
che pure di recente si
è
incrementata
e specializzata,
dovrebbe espandersi, perché parecchi dei
miei
abitanti
sono
costretti ad approvvigionarsi dell'olio in altre località.
Non
è
facile trovare i motivi che spieghino l'insufficiente
spazio
dato
a
colture redditizie come quelle dell'olivo
e
della vite, che
avrebbero
nel mio territorio l'ambiente ideale per svilupparsi. Forse
è
la
quantità
di lavoro che esse, soprattutto la vite, richiedono; forse
è
il
timore
delle grandinate, che spesso
hanno distrutto in pochi attimi il lavoro di mesi dedicato ad un
vigneto, o delle
gelate, che, come
è
accaduto anche due anni fa, spengono la vita di antichi
e
giovani ulivi. E' certo amaro constatare che ora non
possiedo
neppure
un frantoio e che i miei coltivatori devono recarsi a
Montecalvo
o a Paduli per ottenere il loro olio. E pensare che in passato ne ho
avuto di frantoi: uno, situato sotto la "Rimessa", rimasto
attivo fino all'inizio della seconda guerra mondiale; l'altro, in Viale
C.Battisti,smantellato alla fine degli anni Sessanta.
La provincia di Benevento, in poco più di una ventennio,
è
diventata
la maggiore
produttrice di tabacco nell'Europa Comunitaria.
La vicinanza ha fatto sì che la coltivazione dell' "oro verde" si
diffondesse
anche
da me.I tabacchicoltori,che
si sforzano di superare
gli ostacoli frapposti
dal clima e dalla scarsità
dell'acqua disponibile
nel
periodo
estivo,sono
sempre più numerosi.
In effetti,
i
capitali
investiti
e la fatica necessaria sono ampiamente
ricompensati
dall'alto
indice remunerativo del tabacco.
Ma
anche
l'oro
deve
subire
gli alti
e i bassi
del mercato e si paventa una crisi già
manifestatasi,
in parte, lo scorso anno. L'estendersi della consapevolezza
dei danni
provocati dal fumo e i provvedimenti
legislativi
già
adottati
e quelli proposti, tendenti a "criminalizzare"
i fumatori,
spingono
a credere
che il fabbisogno di
tabacco
diminuisca,
e,quindi,
bisognerà
sostituire
la
coltivazione
di questa pianta con altre parimenti
redditizie.
Non ci
sono
più
buoi
a
tirare
l'aratro
o
il carro, né
muli
e
"ciucci”
a trasportare
persone e cose. Accanto
alle porte
delle
case non è
più
necessario
fissare i "catenielli" per
assicurarvi le
“vetture".
Trattori
e
motozappe
sono le nuove bestie da soma
e
da
tiro.
Da
quando
i
primi
esemplari
fecero la loro
comparsa qui, una quarantina
d'anni
fa, i mezzi meccanici sono diventati
sempre più
indispensabili
per
il
contadino.
I dati del censimento (Tab. n.07), però, dicono che essi non
sono
molti. Soltanto
88
aziende posseggono
un trattore
(108
in totale)
e I56
si servono di un motocoltivatore
(205
in totale).
Le
mietitrebbie
sono 7 e le macchine raccoglitrici 5. Una sola azienda,
infine, dispone di irroratori antiparassitari. Il processo di
meccanizzazione del lavoro agricolo si mantiene,
quindi, ancora basso. Ciò
è
dovuto alla
limitata ampiezza delle
aziende agricole e alle
caratteristiche dei terreni e della proprietà,
spesso
frammentata, per cui il loro uso, in molti casi, potrebbe
risultare antieconomico.
ALLEVAMENTO
L'allevamento
del
bestiame
è
stato sempre caratterizzato dalla eccessiva polverizzazione della
proprietà e dall'essere considerato
come attività
da affiancare al lavoro dei campi. La figura tipica qui era quella
del contadino con la piccola masseria, un po' di terra e pochi
animali nella stalla. La situazione ora si
è
un po' modificata ed anche se
è
ancora rarissima la figura
dell'allevatore
specializzato, non mancano le aziende con un alto numero di capi.
Poiché la produzione nazionale di carne
è
insufficiente rispetto al fabbisogno interno e si
è
costretti ad importarla in grosse quantità dall'estero, lo stato ha
finanziato con risorse abbondanti lo sviluppo della zootecnia.
Attraverso la Cassa per il Mezzogiorno, che ha elaborato un Progetto
speciale carne, sono arrivati anche qui da me dei contributi che
hanno permesso di impiantare allevamenti
razionali meccanizzati.
Un esempio di questo tipo
è
offerto dalla stalla della
Cooperativa
Frascino. Sorta nel 1976 su un fianco
del
laghetto
artificiale
appositamente
realizzato, la stalla può ospitare
fino
a
90
mucche,
inoltre,
è
dotata di un box per i vitelli
e
di
uno
per
il
toro,
e
di
un locale per la raccolta del latte. Tutte
le operazioni,
dalla
forni
tura
del foraggio
e dell'acqua
alla mungitura
sono
automatizzate.
Oltre
alla
stalla,
la Cooperativa
dispone
di un
grande
capannone,
utilizzato per il ricovero dei
mezzi
meccanici, una
falciatrice,
una mietitrebbia e una imballatrice,
e
per stivarci il foraggio.
Nel
marzo
del
1985
è
stata ultimata
la
messa
in opera
di un impianto
eolico,
finanziato
dalla Cee, destinato a fornire l'elettricità
necessaria
al
funzionamento della stalla. La Cooperativa
ha
messo
a
disposizione
il terreno e un locale per custodire le apparecchiature.
Purtroppo,
a tutt'oggi,
l'impianto non
è
entrato in
funzione,
sembra
per
la difficoltà
di
trasformare
la
corrente prodotta
da
220 a 380
Volt.
Attualmente
la
stalla
ospita 26 mucche, di razza
bruno alpina,
provenienti
dall'Austria,
più 10 vitelli. La
produzione
di latte
è
di un
quintale
al
giorno,
perché
non tutte le mucche hanno partorito.
Il latte
è
inviato
quotidianamente ad un caseificio di Tufara
Valle.
La
Cooperativa Frascino
è
nata nel
1975, con 15
soci, di età compresa
tra i 30 e
i
65 anni. Primo presidente ne
è
stato
il Sig.
Resce
Vincenzo. I membri
della Cooperativa
hanno associato tutta
la
loro proprietà e si occupano, con compiti diversi, della conduzione
della stalla
e dei terreni. Le ore lavorative prestate da ciascun
socio sono retribuite
in misura tariffaria; il venti per cento
delle
entrate
serve
a pagare il fitto dei terreni ed il restante
viene
diviso
tra
i soci.
Il
90
per
cento
della
somma necessaria
per la costruzione
della
stalla
e delle
infrastrutture
è
stata
stanziata
a
fondo
perduto
dalla
Cassa
per
il Mezzogiorno.
Nella
Cooperativa
non tutto
è
andato
nel
verso
giusto:
i soci
si
sono ridotti
a nove
e il
terreno
a disposizione
è
passato
da
100
a
36 ettari,
coltivati
a silomais,cereali
e
fieno. Nel 1977 le mucche allevate erano di razza marchigiana, bianche da macello. Successivamente esse vennero sostituite da 60 mucche di razza bruno alpina, importate dall'Austria, che producevano quattro quintali di latte al giorno.
Gli
altri
allevamenti
di bovini di una certa entità
si contano sulla punta delle
dita
e
singolarmente
i maggiori
raggiungono
al
massimo
i
20 capi.
Per l'alimentazione
gli
allevatori
fanno uso di scarse
quantità
di mangimi;
per lo
più
producono
su terreni di loro proprietà
il foraggio necessario.
Ora viene molto usato il silomais
(insilato
di
mais),
che è più nutritivo del fieno, anche se necessita
di cure maggiori.
Si tratta
di una pianta
ibrida che sviluppa
di
più
lo
stelo e il fogliame
rispetto al frutto, che rimane ceroso con i chicchi
bianchi. Per la conservazione
del silomais, quando manca l'attrezzatura
adatta,
si
procede
allo "schiacciamento a trincea", cioè si fa passare
e ripassare
un trattore sulle piante falciate ed ammassate sotto un muretto, per
farne fuoriuscire l'aria e
poi
si ricoprono con un telo
di
plastica.
Sul capo degli allevatori
pende, però, come una spada l'afta epizootica, che
già
nel maggio
del 1985 causò
l'abbattimento di
25 capi in una
stalla
e
di
7 in un'altra, e che in questo
periodo (marzo I987)
è
presente
nelle
altre
province campane.
L'afta
è una grave
malattia
infettiva
che colpisce gli
animali
biungulati
(con
l'unghia
a zoccolo
spaccata)
sia
domestici
che
selvatici
ed è
caratterizzata
da
un'altissima
diffusibilità,
soprattutto
se è
originata
da un virus esotico.
In Italia
c'è
una
media
di 38
focolai
epidemici all'anno.
In Campania,
tra
la
fine
di dicembre del
1984
e il marzo 1986,
sono
stati
abbattuti
n.329
bovini,
9 bufali,
977
suini,
54
ovini
e
19 caprini.
La malattia
non colpisce
l'uomo
se
non
in casi
rarissimi
e
senza
conseguenze
di rilievo,
ma quest'
ultimo
può
contribuire alla sua
diffusione,
perciò
nei periodi di contaminazione
è
interdetta
alle
persone
estranee
l'entrata
nelle
stalle della zona
protetta.
I danni causati dall'afta sono notevoli perché si procede, a
seguito di un
decreto
del Sindaco, al piantonamento "con rigore"
dell'allevamento infetto e successivamente all'abbattimento dei capi
contagiati,
di
quelli sospetti e di quelli passibili
di contaminazione. Agli allevatori viene corrisposto un indennizzo
per gli animali abbattuti,
ma
esso giunge
dopo vari anni, perciò non sempre
i proprietari ritengono
opportuno denunciare, come la legge
prescrive,
la presenza
del
virus nella propria stalla. I danni, però, non derivano
soltanto
dall'abbattimento
dei capi e dalla perdita del latte prodotto,
ma
anche dall'impossibilità
di effettuare, nel periodo indicato nel decreto del Sindaco,
trasferimenti di animali anche
non infetti. Pertanto non si possono svolgere fiere, né
commerciare
animali
delle
specie sensibili all'afta epizootica: gli unici spostamenti
consentiti sono riservati, dopo un'accurata visita veterinaria,
ai
capi da macellare in ambito locale. L'afta, insomma,
produce un vero e proprio blocco dell'attività zootecnica
e
ne
ritarda, come
è
avvenuto qui da
me,
lo sviluppo.
OVINI
- La
pastorizia
ha avuto negli ultimi
quindici anni una
certa
ripresa,
favorita
dall'aumento del consumo di carne di agnello. Si
è
passati
dai
750
capi del 1970 ai 993 del 1982. L'incremento
appare
di
modesta
entità,
soprattutto se lo si confronta
con la realtà
di centri
vicini,
come San Giorgio La
Molara
e Castelfranco, dove l'allevamento
degli
ovini
è
molto più praticato. Può avere influito negativamente
sullo sviluppo di questa
attività la sottrazione
di terreni
prima
riservati
al
pascolo
per
destinarli
al rimboschimento.
Attualmente
il gregge
più consistente, di proprietà
di
un allevatore
del
Pagliarone,
è
composto da una quarantina di capi.
Soltanto
una
parte
di quello raccolto
è
trasformato in ricotta
e in formaggio di buona qualità,
che
è possibile
acquistare,
fresco
o stagionato,
direttamente
dai
produttori.
Così
come
l'afta
è
intervenuta ad ostacolare la crescita
dell'allevamento
bovino,
un
animale
ancora oggi
non identificato
frena
l'iniziativa
degli
allevatori
di ovini. Dei lupi, secondo la descrizione
dei testimoni,
o dei cani inselvatichiti, da un paio d'anni,
decimano
le
greggi
in
alcune
zone del mio territorio. Non è consentito,
quindi, lasciare, così come si faceva prima,
le pecore al pascolo incustodite
o
affidarle
ad un pastorello: è necessario che
un pastore
abile
le protegga.
In questo modo la pastorizia sottrae ad
altri lavori l'allevatore,
il quale rinunzia a ricostituire il suo gregge. C'è da dire che i
proprietari che hanno denunciato l'uccisione delle loro pecore da
parte del
"lupo"
sono stati indennizzati, però non si è fatto nulla per individuare
il temibile animale.
SUINI
-
Mentre
per
gli ovini e i bovini si è avuto un aumento dei
capi tra
il
1970 e il 1982, il numero dei suini è calato da 650 a 438. Ciò non
è senz'altro
dovuto al mutare delle abitudini alimentari dei
miei
abitanti,
infatti il consumo di carne di
maiale
e soprattutto
degli insaccati,
dei prosciutti e dei capicolli non
è per
nulla
diminuito
è che
ora
si preferisce piuttosto
che
crescere
il porco
per sfruttarne
solo alcune parti, acquistare
in
macelleria
la
carne
necessaria
per
la preparazione di salsicce
e soppressate.
Per
l'allevamento
dei suini c'è una sola azienda specializzata,
attiva
da qualche
anno,
con una ventina di scrofe che producono
circa
300
maialetti
all'anno.
Questo settore
potrebbe
avere
un'espansione se si
collegasse
all'allevamento
la trasformazione
della carne suina
in
prodotti
tipici
di
alta qualità,
per
i quali già
oggi
la domanda
è alta
e lo sarà
di più
negli
anni
a
venire.
ECONOMIA
FORESTALE
Nel settore primario rientra
anche
la
forestazione,
attività
nella quale sono impegnati attualmente
più di una ottantina dei
miei
abitanti,
come
dipendenti della
Comunità
Montana
"Ufita"
costituita nel 1979.
Essi hanno diverse
qualifiche,
impiegati,
capisquadra
ed operai
e si dividono in effettivi,
centottantunisti
e centocinquantunisti
a seconda
del numero
di
giorni
dell'
anno
in
cui
devono
essere
chiamati
a
prestare
la
loro
opera.
Nel periodo
restante
essi
percepiscono,
come
cassintegrati,
l'80
per
cento del
salario.
Il lavoro
finora
compiuto
dagli operai e dai tecnici dell'
Ufita è
di enorme importanza per la difesa
del
suolo, per
la
tutela del paesaggio
e per la conservazione dell'equilibrio
ecologico.
Due terribili
nemici
stanno, però, in agguato: gli incendi e
la
processionaria.
Le autobotti dei
pompieri
hanno più volte imboccato le strade
che
portano
sopra
i
miei
monti per
limitare
i guasti prodotti
dal fuoco. Nella mia
sola
provincia
nel
1986 sono stati
registrati
ben
123
incendi,
dei
quali 81
dolosi,
28 colposi e soltanto
9
originati
da
cause
dubbie.
E' l'uomo,
quindi, il principale
responsabile
degli
incendi
boschivi, e, incoscientemente,
depaupera
se
stesso,
la
collettività
e
le
generazioni
future
di
un
bene di inestimabile
valore.
Per
quanto riguarda
la
processionaria,
essa
si
è
insediata
stabilmente
sui
rami
dei
pini
del
bosco
in
località
Schiavone,
sui quali
ha
costruito
bianchi nidi
a
forma
di
cono come
di
ovatta
che
sembrano
decorazioni
natalizie.
I bruchi
pelosi
di questa farfalla notturna,
quando
escono
dai nidi,
a marzo,
avanzano
in
ordinate
processioni
e
defogliano
i pini,
provocandone
a
volte
la
morte.
,
Per
liberarsene
bisogna
raccogliere
in
inverno
i loro
nidi
e bruciarli
in una
buca,
con
molta
cautela
perché
i
peli
delle
larve
sono
urticanti.
Se l'albero
è grande
e
raccogliere
i nidi
diventa
difficile,
essi si
possono
colpire
a fucilate
durante
l'inverno,
perché
nel nido
danneggiato
le
larve
muoiono
di
freddo.
Gli
uomini dipendono
molto dalle piante,
è
necessario,
perciò,
proteggerle
in tutti i
modi.
Gli
alberi che
sono
stati
piantati
dagli
operai
dell'Ufita sono
come tante monete
custodite
in
un
salvadanaio:
quando
domani
lo aprirò
mi troverò
proprietario
di un ricco patrimonio.
Il verde è il
colore
del
turismo che più si affermerà
nei
prossimi
anni ed io
sarò
fiero
di possederne
molto.
Dall'esame
effettuato si rileva che la mia
è
un'agricoltura
malata;
ma se
la diagnosi
è
facile a farsi,
difficile
è
predisporre la cura.
Medicine
adatte potrebbero essere
la cooperazione, la trasformazione
e
la commercializzazione
dei prodotti agricoli. Il primo farmaco è stato già sperimentato, ma esso non ha dato i frutti sperati. Eppure la cooperazione nel settore primario, nelle sue varie forme, ha dato altrove esiti assai positivi, permettendo la trasformazione dell'azienda agricola in una vera e propria impresa industriale. La cooperazione permette, innanzitutto, un miglioramento della qualità della vita del contadino, perché con la ripartizione dei compiti diminuiscono gli orari di lavoro; perché tutti i soci partecipano alle decisioni riguardanti la gestione delle attività; perché si sviluppano lo spirito di iniziativa e le capacità organizzative del singolo. La cooperazione consente ad un certo numero di agricoltori di mettere in comune le loro terre e di specializzarsi in una monocoltura; di partecipare con i loro capitali alla costruzione di impianti per la conservazione e la trasformazione dei prodotti; di organizzare la distribuzione diretta ai consumatori dei prodotti, evitando gli innumerevoli passaggi, che fanno aumentare il prezzo della merce e ridurre il guadagno del produttore. La cooperazione, infine, dà la possibilità di ottenere notevoli sussidi finanziari e agevolazioni fiscali. E' da ritenere che il mancato diffondersi, qui da me, della forma cooperativistica nella conduzione delle aziende agricole sia dovuto alla mentalità individualistica. degli operatori, ma anche allo scarso aiuto culturale e tecnico fornito loro dalle strutture pubbliche.
Non sono certo mancate le iniziative per la costituzione
di
forme
associative,ad iniziare dalla Società di mutuo
soccorso
nata
nel 1890,
di cui si conserva una medaglia,
alla Cassa di
Mutualità
del
Miscano,
fondata lo scorso anno.
Nel pensare che oggi
sono funzionanti ben 8 cooperative,
le quali
fanno di
me
il paese con la più alta concentrazione
di
tutta
la Provincia, potrei anche ritenermi soddisfatto. Il
fatto
è
che quasi
nessuna delle associazioni
formatesi
ha realizzato
i fini statutari,
né
è
riuscita, pur inserendo delle
importanti
innovazioni,
ad
incidere
profondamente
sull'economia
e sul tessuto
sociale.
Delle cooperative
attuali, 4 sono legate
all'agricoltura,
3 alla
edilizia e 1 al credito.
La prima a nascere
qui
da
me,
fra
quelle
ancora
operanti,
è
stata la
"Libertà
".
Fondata
il
24
aprile
1966,
da
9 soci, con la durata di IO anni, la "Libertà"
nel
1975
venne
prorogata
per altri 30 anni da 52 soci riuniti in
assemblea
straordinaria.
La quota
sociale che era
in origine di lire
3.000
fu adeguata
successivamente
al nuovo limite
fissato
dalla
legge
in
lire
5.000.
Le finalità
inserite nelle statuto sono le seguenti: 1) miglioramento della produzione; 2) difesa del prodotto agricolo; 3) manutenzione e sistemazione della viabilità interpoderale; 4) costruzione di elettrodotti; 5) realizzazione di impianti di irrigazione e di acquedotti;
6) fornitura di concimi,
di antiparassitari,
di
sementi
e di
macchinari;
7) costruzione di impianti
di trasformazione
e conservazione
dei
prodotti
agricoli;
8) elevazione del livello
culturale
dei
soci
mediante
l'istituzione
di corsi professionali.
Scopi
validissimi,
come si vede,
ma
difficili da realizzare,
e in effetti
la
società
cooperativa
“Libertà”
oggi
si limita
alla
gestione
di
uno
spaccio
di generi
diversi, in
maggioranza
alimentari,
aperto
in
una traversa
di Via
Benedetto
Croce.
Alla cooperativa
vanno, però, riconosciuti alcuni meriti.
Innanzitutto,
il primato
della durata; poi, l'espansione
dell'uso dei concimi
chimici, fosfatici ed azotati, e dei diserbanti; ancora, l'avvio
della coltivazione
della barbabietola da zucchero e
la
formazione
di campi
sperimentali con il successivo scambio
dei semi migliori fra
i soci;
infine, la funzione
calmieratrice
esercitata sui prezzi
dei fertilizzanti
e dei
prodotti alimentari
di base. La maggior
parte
dei prodotti
offerti
dallo spaccio della "Libertà"
è
di origine industriale;
è
scarsa la
vendita
di quelli dell'agricoltura
e dell'allevamento
locali.
Le ragioni
sono varie,
ma la principale
è
l'alto costo
dei prodotti
del luogo
dipendente
dalla
scarsità
della produzione.
Della cooperativa
"Frascino" si
è
già parlato in precedenza,
ma
restano
da dare
alcune informazioni interessanti. Per prima cosa, la
cooperativa
ha una caratteristica che ne accentua
il valore. Si
tratta,
infatti, non di una
cooperativa
di servizio, come
sono tutte le
altre,
ma
di una cooperativa
a
conduzione associata, che
è
come
l'Università
della cooperazione,
la sua forma
più
alta. In Italia
si contano
pochissime
forme
associative
di questo
genere: soltanto
una
al
Nord
e qualche
altra
nelle regioni del Sud. La "Frascino" si propone
di condurre
in forma collettiva l'azienda
sociale con
moderni
criteri
di
coltivazione e di allevamento.
Le difficoltà che la cooperativa
ha
dovuto
superare
sono parecchie,
causate, quasi
tutte, dall'incomprensione
tra
i soci, che
per
un certo periodo
ha
portato
al
blocco
dell'attività.
Ora si stanno
approntando
dei piani che dovrebbero
far decollare
ancora una volta la "Frascino". Sarà
impiantato,
tra
breve, un nucleo di
selezione
della
pecora
laticauda,
più grossa
delle
altre
e con
un'altissima
resa nei parti e nella produzione
del
latte.
Sarà
istituito,
inoltre, un nucleo
di selezione della razza
bovina bruno
alpina,
la
quale
ha
mostrato
delle difficoltà di acclimatamento,
con
una alta percentuale di mortalità tra i vitelli.
Come
mai
la
cooperativa
non si interessa
della
trasformazione
e della
commercializzazione
dei suoi prodotti? E' presto detto: perché
la produzione
è
bassa
rispetto a quella necessaria per poter gestire in modo redditizio un
caseificio o una macelleria.
Il 20 febbraio 1985
è
la data di nascita di un'altra cooperativa
agricola denominata "La
giovane". I soci, una decina, dai 20 ai 29 anni, si proponevano tra
l'altro: 1) la conduzione in forma collettiva dell'azienda sociale
organizzata con le tecniche più moderne; 2) la gestione di impianti
frutticoli e di piccolo artigianato; 3) l'allevamento razionale del
bestiame. La cooperativa aveva progettato un allevamento di conigli
con mangimi prodotti sui terreni dei soci, la macellazione degli
stessi e la lavorazione delle pelli. Gli impianti dovevano sorgere
su poco più di un ettaro di terreno acquistato da
"La
giovane”
in contrada Musciali. Il progetto non ha ottenuto i finanziamenti richiesti ed ora se ne sta approntando un altro
che, si spera, incontri maggiore fortuna. L'ultima arrivata fra le cooperative agricole è l'"Agri Fortes", fondata il 4 febbraio 1983 e destinata a durare fino al 2033. I 17 soci fondatori hanno versato una quota sociale di lire 50.000 e si prefiggono di produrre, raccogliere, trasformare, conservare e vendere i prodotti agricoli. La cooperativa si è specializzata nella produzione del tabacco, con la fornitura ai soci di piantine, di concimi, di antiparassitari ed assicurando ad essi anche un'assistenza tecnica. Il mio terreno, a parte le difficoltà frapposte dall'altitudine e dalla penuria d'acqua, si è in un primo tempo dimostrato idoneo alla monocoltura del tabacco, perché privo dei parassiti che rovinano le piante; ora, però, essi fanno danni anche da me, danni maggiori che altrove, poiché le caratteristiche climatiche impediscono ai miei tabacchicoltori la sostituzione delle piantina danneggiate.
La
mamma delle cooperative
oggi
attive
è
stata la
"Casalborese",
fondata
nel
1960 da
9
soci,
poi divenuti 14,e durata
fino al I969.
La
"Casalborese"
anch'essa
cooperativa
agricola di servizio,
che ebbe
come
Presidente
Resce
Pasquale (Nicola) e la sede nella
Torre, oltre
ad
assicurare
ai
soci
la fornitura
di maialini,
di concimi,
di anticrittogamici
e di sementi
speciali,
provenienti dall'Emilia,
li assisteva
in
tutti
i
campi,
da quello
pensionistico
a quello
sindacale.
La
presenza
della
"Casalborese" portò ad un deciso abbassamento
del prezzo
di vendita
dei prodotti
usati
nel lavoro agricolo,
di cui deteneva
il monopolio
il Consorzio Agrario, nato
nel dopoguerra
come
una
succursale
di quello di
Montecalvo
e sito in Viale C.Battisti.
La
cooperativa
generò anche
una trasformazione nei rapporti
fra
proprietari
dei
terreni e coltivatori, i quali ultimi presero coscienza
dei diritti
riconosciutigli dalle nuove leggi.
Dalla
situazione
descritta
emerge che qui da me c'è la volontà
di intraprendere
in agricoltura
strade nuove, e le iniziative messe in atto
nel settore
delle
cooperazione lo dimostrano. Però si va sempre a cozzare
contro
una
serie di
ostacoli, alcuni fisiologici altri istituzionali,
che frenano
gli slanci e
impediscono il cambiamento
e lo sviluppo.
Quali
sono
questi
ostacoli? Cominciamo da quelli individuali: 1)la
scarsa
assunzione
di responsabilità da parte
dei
soci;
2)lo
sfruttamento
dell'esperienza
acquisita nella cooperativa
per
fini
personali;
3)la difficoltà
dell'imprenditore
locale
nel gestire
grandi
aziende;
4)il ricorso
alla doppia
attività
per accrescere
il reddito
familiare;
5)l'incapacità
di
valorizzare
il prodotto
offrendo al cliente
garanzie
sulla
qualità. A tutto questo
si
aggiunge
il
fatto
che le
cooperative
agricole
operano
qui
in un
settore
in
crisi a causa
della competività delle
aziende estere e del Nord, che sono all’avanguardia.
Le
forze dei
miei
agricoltori
sono impari
a
sostenere
da
soli
la
lotta,
senza
l'aiuto
delle strutture pubbliche e quest'ultime,
se
pure
intervengono, sono spesso
in discordanza fra loro.
Bisogna tener presente, infatti, che la cooperazione
richiede al
socio di essere contemporaneamente
datore di lavoro e lavoratore, due
funzioni che
è
difficile far conciliare senza una particolare preparazione.
Il socio, cioè, deve avere la capacità
professionale
di produrre con
minore
lavoro, di estendere la propria esperienza ad altri
e
al
tempo stesso
la
mentalità
imprenditoriale per far crescere la
redditività
dell'azienda di cui fa parte. E non basta.
È
necessario
anche che il socio sia tollerante verso i comportamenti altrui per
poter lavorare in armonia ed egli deve rendersi conto che l'associazionismo non è assistenzialismo ma sviluppo delle proprie possibilità
produttive. Nel campo della cooperazione agricola, infine, deve
imparare a gestire i tre assi del sistema, cioè la produzione, la
trasformazione e la commercializzazione dei prodotti.
Nulla di tutto ciò
può essere fatto se il socio non ha entusiasmo, né
un'adeguata
preparazione culturale e professionale, né un'assistenza tecnica
valida e continua.
Per
fortuna, la situazione qui non
è
statica. L'interesse che verso
il settore agricolo-alimentare
si dimostra
da più parti, non ultima
la
Scuola che con il Progetto
Pilota Cee
è
intervenuta
decisamente,
e l'impegno
profuso da alcuni miei figli,
Resce
Pasquale,
Salvatore
Vito
e
Perito
Giovanni,
che hanno
lavorato
intensamente
per impiantare
la
cooperazione
nel
mio terreno, spingono
ad
avere
fiducia
in
un
miglioramento
delle
condizioni economiche di
centri
piccoli
come
il mio,
i
quali
dai
campi
traggono
la
linfa
vitale. |