PRESENTAZIONE  LATITUDINE E LONGITUDINE GEOLOGIA CLIMA IDROGRAFIA FAUNA FLORA

POPOLAZIONE CENSIMENTO 1981 SETTORE PRIMARIO SETTORE SECONDARIO  SETTORE TERZIARIO

 

A T T I V I T A' E C O N O M I C H E


SETTORE PRI
MARIO

AGRICOLTURA

Ho già avuto modo di dire che, fra i settori di attività, quello agricolo conta il maggior numero di addetti, ma non è certamente il più redditizio. Nonostante lo sviluppo che ha interessato anche il mio mondo agricolo, permangono ancora quelle cause geografiche, storiche e sociali che da sempre hanno ostacolato l'incremento della produttività e del reddito. Tra i fattori principali vanno annoverati: 1) la scarsa fertilità del suolo; 2) l'adozione di colture poco redditizie; 3) l'alta percentuale di lavoratori agricoli, nonostante che sia diminuita la necessità di manodopera a causa della meccanizzazione; 4) la scarsità dei capitali investiti; 5) il perpetuarsi del latifondismo insieme alla polverizzazione e alla frammentazione della proprietà; 6) la mancanza di qualificazione professionale degli addetti; 7) l'insufficiente meccanizzazione; 8) la fuga dai campi da parte dei giovani e, quindi, senilizzazione ed elevata presenza femminile nel lavoro agricolo; 9) la mancata diffusione di una mentalità cooperativistica  IO) la mancanza di infrastrutture che favoriscano insieme l'aumento della produzione e la trasformazione e la commercializzazione dei prodotti agricoli.

Data questa situazione, è impossibile sperare che nel futuro prossimo si passi ad un tipo di agricoltura altamente qualificato.

Attraverso le cifre del 3°Censimento generale dell'agricoltura, effettuato il 24 ottobre 1982 - i dati sono stati pubblicati nel 1986 - si può tentare un'analisi approfondita del settore primario.

Quasi tutte le aziende, il 95 per cento, proprietarie soltanto del 68,8 per cento della superficie totale, si servono esclusivamente di manodopera familiare.

La figura del proprietario coltivatore appare ancora più netta, se aggiungiamo un altro 2 per cento e più di aziende che risultano condotte dallo stesso proprietario insieme a familiari e a persone estranee. Soltanto 4 aziende si servono di salariati agricoli, e 3 sono a mezzadria. Quest'ultima forma di gestione di un'azienda agraria, che vede il proprietario e l'agricoltore associati nella conduzione del terreno, con la divisione delle spese, dei prodotti e dei guadagni, non si è mai diffusa qui da me ed oggi, come si vede, è quasi del tutto scomparsa.

La presenza contemporanea di due fenomeni contrastanti, quali il latifondismo e la polverizzazione della proprietà, è messa in evidenza dalla tavola n.2. Qui si rileva che il 74,4 per cento delle aziende è proprietario di fondi minimi, fino a cinque ettari, che rappresentano soltanto il 20,7 per cento della superficie agricola totale.

D'altro canto vi sono 5 aziende, in percentuale lo 0,99, che posseggono in media 131 ettari, che insieme coprono il 26,6 per cento dell'intera superficie. Non è facile individuare le cinque grandi aziende censite, ma senz'altro non ci si trova di fronte ad un caso di latifondismo vecchia maniera, ma a qualche forma di cooperativismo e di associazione di famiglie con legami di parentela, che lavorano la terra con sistemi più moderni.

La superficie media delle aziende è poco superiore a 6 ettari, uguale a quella del Mezzogiorno e più bassa di quella nazionale, che è di 7,2 ettari.

Per quanto riguarda la destinazione del suolo si hanno le seguenti ripartizioni. Più della metà della superficie è utilizzata per i seminativi; il 6 per cento per le coltivazioni permanenti; l'11 per cento è costituita da prati e pascoli e il 15 per cento da boschi.

Il 74 per cento della superficie destinata ai seminativi è coltivata a cereali e di essa il 50 per cento è occupata dal grano, che rimane la mia coltura principe, perché ben si adatta ai terreni poco fertili e alle alte quote. Le varietà di grano più diffuse sono la "cappella” (Senatore Cappelli), grano duro, e la "risciola", grano tenero. Altre varietà coltivate sono la "carosella”, il "bianchetto" e la "marzellina", che si semina a marzo in alta montagna. La coltivazione del duro è praticata soprattutto nella parte bassa del mio territorio, quella del tenero a quote più elevate.

La resa, ora che la terra viene arata con i trattori ed anche la semina è effettuata con mezzi meccanici, si è più che raddoppiata rispetto a prima. Oggi si ottiene da 15 a 20 volte la quantità di grano seminata per tomolo, circa 80 Kg, mentre una volta, nelle annate buone, essa, circa 50 Kg, aumentava di 7 volte. La resa per ettaro è pari, quindi, a 30 quintali in media, ma nei terreni più fertili e ben concimati può giungere fino a 50. Parte della quantità di grano prodotta, che è superiore al fabbisogno interno, viene esportata in altre province della nostra regione o delle regioni limitrofe.

La coltivazione del granturco, molto praticata anni addietro, è stata quasi del tutto soppiantata da quella del tabacco. L'uso del granone (radinio) per l'alimentazione umana si limita alla preparazione della polenta e della pizza gialla, tutto il restante è adoperato come mangime per gli animali. Un tempo non molto lontano, le brattee (frusci) della pannocchia erano usate per riempire i materassi, e ogni mattina la donna di casa era costretta a rimetterle in piano con la fòrcola (furcina).

Altre piante coltivate e adoperate come foraggio sono l'avena, la lupinella, le fave, la sulla, l'erba medica, la veccia e l'orzo.

 

Alcune erbe crescono spontanee tra il grano, soprattutto i "raldi" e "l'uogghi". Con questi ultimi, la cui forma è assai simile a quella del grano, una volta si facevano il pane e la pizza, che procuravano in chi li mangiava gli effetti di uno stupefacente. Per fare il pane, un pane nero, erano anche usate le "tonache", una leguminosa, che insieme alle "chichierchie", simili a semi di piselli schiacciati, si piantavano con il granturco.

I miei contadini producono in quantità limitate, ma di buona qualità, anche fagioli, ceci, piselli e lenticchie.

La tecnica della rotazione triennale per la coltivazione dei cereali, cioè l'utilizzazione dello stesso appezzamento di terreno il primo anno per il grano, l'anno successivo per l'avena e il terzo anno per un altro foraggio, non viene quasi più praticata dopo l'introduzione dei fertilizzanti chimici.

Le colture ortofrutticole, a cui è riservato soltanto l'uno per cento della SAU (Superficie Agricola Utilizzata), sono scarsamente sviluppate; esse soddisfano per lo più le esigenze familiari.

Si producono pomodori di diverse varietà, peperoni, finocchi, zucche, zucchini, agli, barbabietole, patate, bietole, carciofi, carote, broccoli, cavolfiori, rape, verze, cetrioli, cipolle, fagiolini, melanzane e vari tipi di verdure per insalata.

Alle colture legnose, vite e olivo in particolare, è riservata una superficie di 142 ettari, divisa tra 379 aziende, con una media di poco superiore a 37 are (3700 mq, poco più di un tomolo). Nonostante l’aumento delle piantagioni e il ricorso a varietà di uve più pregiate e con una maggiore resa, la produzione di vino è ancora insufficiente rispetto alla richiesta locale. Eppure la domanda non è eccessivamente alta, perché i miei abitanti preferiscono come bevanda la birra.

Anche la coltivazione dell'olivo, che pure di recente si è incrementata e specializzata, dovrebbe espandersi, perché parecchi dei miei abitanti sono costretti ad approvvigionarsi dell'olio in altre località.

Non è facile trovare i motivi che spieghino l'insufficiente spazio dato a colture redditizie come quelle dell'olivo e della vite, che avrebbero nel mio territorio l'ambiente ideale per svilupparsi. Forse è la quantità di lavoro che esse, soprattutto la vite, richiedono; forse è il timore delle grandinate, che spesso hanno distrutto in pochi attimi il lavoro di mesi dedicato ad un vigneto, o delle gelate, che, come è accaduto anche due anni fa, spengono la vita di antichi e giovani ulivi. E' certo amaro constatare che ora non possiedo neppure un frantoio e che i miei coltivatori devono recarsi a Montecalvo o a Paduli per ottenere il loro olio. E pensare che in passato ne ho avuto di frantoi: uno, situato sotto la "Rimessa", rimasto attivo fino all'inizio della seconda guerra mondiale; l'altro, in Viale C.Battisti,smantellato alla fine degli anni Sessanta.

La provincia di Benevento, in poco più di una ventennio, è diventata la maggiore produttrice di tabacco nell'Europa Comunitaria.

La vicinanza ha fatto sì che la coltivazione dell' "oro verde" si diffondesse anche da me.I tabacchicoltori,che si sforzano di superare gli ostacoli frapposti dal clima e dalla scarsità dell'acqua disponibile nel periodo estivo,sono sempre più numerosi. In effetti, i capitali investiti e la fatica necessaria sono ampiamente ricompensati dall'alto indice remunerativo del tabacco. Ma anche l'oro deve subire gli alti e i bassi del mercato e si paventa una crisi già manifestatasi, in parte, lo scorso anno. L'estendersi della consapevolezza dei danni provocati dal fumo e i provvedimenti legislativi già adottati e quelli proposti, tendenti a "criminalizzare" i fumatori, spingono a credere che il fabbisogno di tabacco diminuisca, e,quindi, bisognerà sostituire la coltivazione di questa pianta con altre parimenti redditizie.

           

Non ci sono più buoi a tirare l'aratro o il carro, né muli e "ciucci a trasportare persone e cose. Accanto alle porte delle case non è più necessario fissare i "catenielli" per assicurarvi le vetture". Trattori e motozappe sono le nuove bestie da soma e da tiro. Da quando i primi esemplari fecero la loro comparsa qui, una quarantina d'anni fa, i mezzi meccanici sono diventati sempre più indispensabili per il contadino. I dati del censimento (Tab. n.07), però, dicono che essi non sono molti. Soltanto 88 aziende posseggono un trattore (108 in totale) e I56 si servono di un motocoltivatore (205 in totale). Le mietitrebbie sono 7 e le macchine raccoglitrici 5. Una sola azienda, infine, dispone di irroratori antiparassitari. Il processo di meccanizzazione del lavoro agricolo si mantiene, quindi, ancora basso. Ciò è dovuto alla limitata ampiezza delle aziende agricole e alle caratteristiche dei terreni e della proprietà, spesso frammentata, per cui il loro uso, in molti casi, potrebbe risultare antieconomico.


ALLEVAMENTO

L'allevamento del bestiame è stato sempre caratterizzato dalla eccessiva polverizzazione della proprietà e dall'essere considerato come attività da affiancare al lavoro dei campi. La figura tipica qui era quella del contadino con la piccola masseria, un po' di terra e pochi animali nella stalla. La situazione ora si è un po' modificata ed anche se è ancora rarissima la figura dell'allevatore specializzato, non mancano le aziende con un alto numero di capi.
Nel I982 (T
ab.n.6) sono state contate 159 aziende. Le più numerose,II7, possedevano dei suini, che ammontavano a 438. Le aziende dedite all'allevamento degli ovini, che raggiungevano i 993 capi, erano 89. All'allevamento dei bovini si dedicavano 75 aziende con un numero di capi pari a 836, di cui 376 erano vacche (bovine che hanno partorito almeno una volta).

Poiché la produzione nazionale di carne è insufficiente rispetto al fabbisogno interno e si è costretti ad importarla in grosse quantità dall'estero, lo stato ha finanziato con risorse abbondanti lo sviluppo della zootecnia. Attraverso la Cassa per il Mezzogiorno, che ha elaborato un Progetto speciale carne, sono arrivati anche qui da me dei contributi che hanno permesso di impiantare allevamenti razionali meccanizzati. Un esempio di questo tipo è offerto dalla stalla della Cooperativa Frascino. Sorta nel 1976 su un fianco del laghetto artificiale appositamente realizzato, la stalla può ospitare fino a 90 mucche, inoltre, è dotata di un box per i vitelli e di uno per il toro, e di un locale per la raccolta del latte. Tutte le operazioni, dalla forni tura del foraggio e dell'acqua alla mungitura sono automatizzate.

Oltre alla stalla, la Cooperativa dispone di un grande capannone, utilizzato per il ricovero dei mezzi meccanici, una falciatrice, una mietitrebbia e una imballatrice, e per stivarci il foraggio.

Nel marzo del 1985 è stata ultimata la messa in opera di un impianto eolico, finanziato dalla Cee, destinato a fornire l'elettricità necessaria al funzionamento della stalla. La Cooperativa ha messo a disposizione il terreno e un locale per custodire le apparecchiature. Purtroppo, a tutt'oggi, l'impianto non è entrato in funzione, sembra per la difficoltà di trasformare la corrente prodotta da 220 a 380 Volt.

Attualmente la stalla ospita 26 mucche, di razza bruno alpina, provenienti dall'Austria, più 10 vitelli. La produzione di latte è di un quintale al giorno, perché non tutte le mucche hanno partorito. Il latte è inviato quotidianamente ad un caseificio di Tufara Valle.

La Cooperativa Frascino è nata nel 1975, con 15 soci, di età compresa tra i 30 e i 65 anni. Primo presidente ne è stato il Sig. Resce Vincenzo. I membri della Cooperativa hanno associato tutta la loro proprietà e si occupano, con compiti diversi, della conduzione della stalla e dei terreni. Le ore lavorative prestate da ciascun socio sono retribuite in misura tariffaria; il venti per cento delle entrate serve a pagare il fitto dei terreni ed il restante viene diviso tra i soci.

Il 90 per cento della somma necessaria per la costruzione della stalla e delle infrastrutture è stata stanziata a fondo perduto dalla Cassa per il Mezzogiorno.

Nella Cooperativa non tutto è andato nel verso giusto: i soci si sono ridotti a nove e il terreno a disposizione è passato da 100 a 36 ettari, coltivati a silomais,cereali e fieno.

Nel 1977 le mucche allevate erano di razza marchigiana, bianche da macello. Successivamente esse vennero sostituite da 60 mucche di razza bruno alpina, importate dall'Austria, che producevano quattro quintali di latte al giorno.

Gli altri allevamenti di bovini di una certa entità si contano sulla punta delle dita e singolarmente i maggiori raggiungono al massimo i 20 capi.

Per l'alimentazione gli allevatori fanno uso di scarse quantità di mangimi; per lo più producono su terreni di loro proprietà il foraggio necessario. Ora viene molto usato il silomais (insilato di mais), che è più nutritivo del fieno, anche se necessita di cure maggiori. Si tratta di una pianta ibrida che sviluppa di più lo stelo e il fogliame rispetto al frutto, che rimane ceroso con i chicchi bianchi. Per la conservazione del silomais, quando manca l'attrezzatura adatta, si procede allo "schiacciamento a trincea", cioè si fa passare e ripassare un trattore sulle piante falciate ed ammassate sotto un muretto, per farne fuoriuscire l'aria e poi si ricoprono con un telo di plastica.

Sul capo degli allevatori pende, però, come una spada l'afta epizootica, che già nel maggio del 1985 causò l'abbattimento di 25 capi in una stalla e di 7 in un'altra, e che in questo periodo (marzo I987) è presente nelle altre province campane. L'afta è una grave malattia infettiva che colpisce gli animali biungulati (con l'unghia a zoccolo spaccata) sia domestici che selvatici ed è caratterizzata da un'altissima diffusibilità, soprattutto se è originata da un virus esotico. In Italia c'è una media di 38 focolai epidemici all'anno. In Campania, tra la fine di dicembre del 1984 e il marzo 1986, sono stati abbattuti n.329 bovini, 9 bufali, 977 suini, 54 ovini e 19 caprini. La malattia non colpisce l'uomo se non in casi rarissimi e senza conseguenze di rilievo, ma quest' ultimo può contribuire alla sua diffusione, perciò nei periodi di contaminazione è interdetta alle persone estranee l'entrata nelle stalle della zona protetta.

I danni causati dall'afta sono notevoli perché si procede, a seguito di un decreto del Sindaco, al piantonamento "con rigore" dell'allevamento infetto e successivamente all'abbattimento dei capi contagiati, di quelli sospetti e di quelli passibili di contaminazione. Agli allevatori viene corrisposto un indennizzo per gli animali abbattuti, ma esso giunge dopo vari anni, perciò non sempre i proprietari ritengono opportuno denunciare, come la legge prescrive, la presenza del virus nella propria stalla. I danni, però, non derivano soltanto dall'abbattimento dei capi e dalla perdita del latte prodotto, ma anche dall'impossibilità di effettuare, nel periodo indicato nel decreto del Sindaco, trasferimenti di animali anche non infetti. Pertanto non si possono svolgere fiere, né commerciare animali delle specie sensibili all'afta epizootica: gli unici spostamenti consentiti sono riservati, dopo un'accurata visita veterinaria, ai capi da macellare in ambito locale. L'afta, insomma, produce un vero e proprio blocco dell'attività zootecnica e ne ritarda, come è avvenuto qui da me, lo sviluppo.

OVINI - La pastorizia ha avuto negli ultimi quindici anni una certa ripresa, favorita dall'aumento del consumo di carne di agnello. Si è passati dai 750 capi del 1970 ai 993 del 1982. L'incremento appare di modesta entità, soprattutto se lo si confronta con la realtà di centri vicini, come San Giorgio La Molara e Castelfranco, dove l'allevamento degli ovini è molto più praticato. Può avere influito negativamente sullo sviluppo di questa attività la sottrazione di terreni prima riservati al pascolo per destinarli al rimboschimento. Attualmente il gregge più consistente, di proprietà di un allevatore del Pagliarone, è composto da una quarantina di capi.
L'
interesse degli allevatori è rivolto alla produzione degli agnelli, mentre è messa in secondo piano la commercializzazione dei prodotti del latte.

Soltanto una parte di quello raccolto è trasformato in ricotta e in formaggio di buona qualità, che è possibile acquistare, fresco o stagionato, direttamente dai produttori.

Co come l'afta è intervenuta ad ostacolare la crescita dell'allevamento bovino, un animale ancora oggi non identificato frena l'iniziativa degli allevatori di ovini. Dei lupi, secondo la descrizione dei testimoni, o dei cani inselvatichiti, da un paio d'anni, decimano le greggi in alcune zone del mio territorio. Non è consentito, quindi, lasciare, così come si faceva prima, le pecore al pascolo incustodite o affidarle ad un pastorello: è necessario che un pastore abile le protegga. In questo modo la pastorizia sottrae ad altri lavori l'allevatore, il quale rinunzia a ricostituire il suo gregge. C'è da dire che i proprietari che hanno denunciato l'uccisione delle loro pecore da parte del "lupo" sono stati indennizzati, però non si è fatto nulla per individuare il temibile animale.
Coloro che dovrebbero intervenire hanno fatto sapere che non pos
sono prendere provvedimenti se prima non viene provato che si tratti veramente di lupi.

SUINI - Mentre per gli ovini e i bovini si è avuto un aumento dei capi tra il 1970 e il 1982, il numero dei suini è calato da 650 a 438. Ciò non è senz'altro dovuto al mutare delle abitudini alimentari dei miei abitanti, infatti il consumo di carne di maiale e soprattutto degli insaccati, dei prosciutti e dei capicolli non è per nulla diminuito è che ora si preferisce piuttosto che crescere il porco per sfruttarne solo alcune parti, acquistare in macelleria la carne necessaria per la preparazione di salsicce e soppressate. Per l'allevamento dei suini c'è una sola azienda specializzata, attiva da qualche anno, con una ventina di scrofe che producono circa 300 maialetti all'anno.

Questo settore potrebbe avere un'espansione se si collegasse all'allevamento la trasformazione della carne suina in prodotti tipici di alta qualità, per i quali già oggi la domanda è alta e lo sarà di più negli anni a venire.


ECONOMIA FORESTALE

Nel settore primario rientra anche la forestazione, attività nella quale sono impegnati attualmente più di una ottantina dei miei abitanti, come dipendenti della Comunità Montana "Ufita" costituita nel 1979. Essi hanno diverse qualifiche, impiegati, capisquadra ed operai e si dividono in effettivi, centottantunisti e centocinquantunisti a seconda del numero di giorni dell' anno in cui devono essere chiamati a prestare la loro opera.

Nel periodo restante essi percepiscono, come cassintegrati, l'80 per cento del salario. Il lavoro finora compiuto dagli operai e dai tecnici dell' Ufita è di enorme importanza per la difesa del suolo, per la tutela del paesaggio e per la conservazione dell'equilibrio ecologico.

Due terribili nemici stanno, però, in agguato: gli incendi e la processionaria.

Le autobotti dei pompieri hanno più volte imboccato le strade che portano sopra i miei monti per limitare i guasti prodotti dal fuoco. Nella mia sola provincia nel 1986 sono stati  registrati ben 123 incendi, dei quali 81 dolosi, 28 colposi e soltanto 9 originati da cause dubbie. E' l'uomo, quindi, il principale responsabile degli incendi boschivi, e, incoscientemente, depaupera se stesso, la collettività e le generazioni future di un bene di inestimabile valore.

Per quanto riguarda la processionaria, essa si è insediata stabilmente sui rami dei pini del bosco in località Schiavone, sui quali ha costruito bianchi nidi a forma di cono come di ovatta che sembrano decorazioni natalizie. I bruchi pelosi di questa farfalla notturna, quando escono dai nidi, a marzo, avanzano in ordinate processioni e defogliano i pini, provocandone a volte la morte.

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Per liberarsene bisogna raccogliere in inverno i loro nidi e bruciarli in una buca, con molta cautela perché i peli delle larve sono urticanti. Se l'albero è grande e raccogliere i nidi diventa difficile, essi si possono colpire a fucilate durante l'inverno, perché nel nido danneggiato le larve muoiono di freddo.

Gli uomini dipendono molto dalle piante, è necessario, perciò, proteggerle in tutti i modi.

Gli alberi che sono stati piantati dagli operai dell'Ufita sono come tante monete custodite in un salvadanaio: quando domani lo aprirò mi troverò proprietario di un ricco patrimonio. Il verde è il colore del turismo che più si affermerà nei prossimi anni ed io sarò fiero di possederne molto.


Dall'esame effettuato si rileva che la mia è un'agricoltura malata; ma se la diagnosi è facile a farsi, difficile è predisporre la cura. Medicine adatte potrebbero essere la cooperazione, la trasformazione e la commercializzazione dei prodotti agricoli.

Il primo farmaco è stato già sperimentato, ma esso non ha dato i frutti sperati. Eppure la cooperazione nel settore primario, nelle sue varie forme, ha dato altrove esiti assai positivi, permettendo la trasformazione dell'azienda agricola in una vera e propria impresa industriale. La cooperazione permette, innanzitutto, un miglioramento della qualità della vita del contadino, perché con la ripartizione dei compiti diminuiscono gli orari di lavoro; perché tutti i soci partecipano alle decisioni riguardanti la gestione delle attività; perché si sviluppano lo spirito di iniziativa e le capacità organizzative del singolo. La cooperazione consente ad un certo numero di agricoltori di mettere in comune le loro terre e di specializzarsi in una monocoltura; di partecipare con i loro capitali alla costruzione di impianti per la conservazione e la trasformazione dei prodotti; di organizzare la distribuzione diretta ai consumatori dei prodotti, evitando gli innumerevoli passaggi, che fanno aumentare il prezzo della merce e ridurre il guadagno del produttore. La cooperazione, infine, dà la possibilità di ottenere notevoli sussidi finanziari e agevolazioni fiscali. E' da ritenere che il mancato diffondersi, qui da me, della forma cooperativistica nella conduzione delle aziende agricole sia dovuto alla mentalità individualistica. degli operatori, ma anche allo scarso aiuto culturale e tecnico fornito loro dalle strutture pubbliche.

Non sono certo mancate le iniziative per la costituzione di forme associative,ad iniziare dalla Società di mutuo soccorso nata nel 1890, di cui si conserva una medaglia, alla Cassa di Mutualità del Miscano, fondata lo scorso anno.

Nel pensare che oggi sono funzionanti ben 8 cooperative, le quali fanno di me il paese con la più alta concentrazione di tutta la Provincia, potrei anche ritenermi soddisfatto. Il fatto è che quasi nessuna delle associazioni formatesi ha realizzato i fini statutari, né è riuscita, pur inserendo delle importanti innovazioni, ad incidere profondamente sull'economia e sul tessuto sociale.

Delle cooperative attuali, 4 sono legate all'agricoltura, 3 alla edilizia e 1 al credito. La prima a nascere qui da me, fra quelle ancora operanti, è stata la "Libertà ". Fondata il 24 aprile 1966, da 9 soci, con la durata di IO anni, la "Libertà" nel 1975 venne prorogata per altri 30 anni da 52 soci riuniti in assemblea straordinaria. La quota sociale che era in origine di lire 3.000 fu adeguata successivamente al nuovo limite fissato dalla legge in lire 5.000.

Le finalità inserite nelle statuto sono le seguenti:

 1) miglioramento della produzione; 2) difesa del prodotto agricolo;

3) manutenzione e sistemazione della viabilità interpoderale; 4) costruzione di elettrodotti; 5) realizzazione di impianti di irrigazione e di acquedotti;

6) fornitura di concimi, di antiparassitari, di sementi e di macchinari;

7) costruzione di impianti di trasformazione e conservazione dei prodotti agricoli; 8) elevazione del livello culturale dei soci mediante l'istituzione di corsi professionali. Scopi validissimi, come si vede, ma difficili da realizzare, e in effetti la società cooperativa Libertà” oggi si limita alla gestione di uno spaccio di generi diversi, in maggioranza alimentari, aperto in una traversa di Via Benedetto Croce.

Alla cooperativa vanno, però, riconosciuti alcuni meriti.

Innanzitutto, il primato della durata; poi, l'espansione dell'uso dei concimi chimici, fosfatici ed azotati, e dei diserbanti; ancora, l'avvio della coltivazione della barbabietola da zucchero e la formazione di campi sperimentali con il successivo scambio dei semi migliori fra i soci; infine, la funzione calmieratrice esercitata sui prezzi dei fertilizzanti e dei prodotti alimentari di base. La maggior parte dei prodotti offerti dallo spaccio della "Libertà" è di origine industriale; è scarsa la vendita di quelli dell'agricoltura e dell'allevamento locali. Le ragioni sono varie, ma la principale è l'alto costo dei prodotti del luogo dipendente dalla scarsità della produzione.

Della cooperativa "Frascino" si è già parlato in precedenza, ma restano da dare alcune informazioni interessanti. Per prima cosa, la cooperativa ha una caratteristica che ne accentua il valore. Si tratta, infatti, non di una cooperativa di servizio, come sono tutte le altre, ma di una cooperativa a conduzione associata, che è come l'Università della cooperazione, la sua forma più alta. In Italia si contano pochissime forme associative di questo genere: soltanto una al Nord e qualche altra nelle regioni del Sud. La "Frascino" si propone di condurre in forma collettiva l'azienda sociale con moderni criteri di coltivazione e di allevamento.

Le difficoltà che la cooperativa ha dovuto superare sono parecchie, causate, quasi tutte, dall'incomprensione tra i soci, che per un certo periodo ha portato al blocco dell'attivi. Ora si stanno approntando dei piani che dovrebbero far decollare ancora una volta la "Frascino". Sarà impiantato, tra breve, un nucleo di selezione della pecora laticauda, più grossa delle altre e con un'altissima resa nei parti e nella produzione del latte. Sarà istituito, inoltre, un nucleo di selezione della razza bovina bruno alpina, la quale ha mostrato delle difficoltà di acclimatamento, con una alta percentuale di mortalità tra i vitelli.

Come mai la cooperativa non si interessa della trasformazione e della commercializzazione dei suoi prodotti? E' presto detto: perché la produzione è bassa rispetto a quella necessaria per poter gestire in modo redditizio un caseificio o una macelleria.

Il 20 febbraio 1985 è la data di nascita di un'altra cooperativa agricola denominata "La giovane". I soci, una decina, dai 20 ai 29 anni, si proponevano tra l'altro: 1) la conduzione in forma collettiva dell'azienda sociale organizzata con le tecniche più moderne; 2) la gestione di impianti frutticoli e di piccolo artigianato; 3) l'allevamento razionale del bestiame. La cooperativa aveva progettato un allevamento di conigli con mangimi prodotti sui terreni dei soci, la macellazione degli stessi e la lavorazione delle pelli. Gli impianti dovevano sorgere su poco più di un ettaro di terreno acquistato da "La giovane” in contrada Musciali. Il progetto non ha ottenuto i finanziamenti richiesti ed ora se ne sta approntando un altro che, si spera, incontri maggiore fortuna.

L'ultima arrivata fra le cooperative agricole è l'"Agri Fortes", fondata il 4 febbraio 1983 e destinata a durare fino al 2033. I 17 soci fondatori hanno versato una quota sociale di lire 50.000 e si prefiggono di produrre, raccogliere, trasformare, conservare e vendere i prodotti agricoli. La cooperativa si è specializzata nella produzione del tabacco, con la fornitura ai soci di piantine, di concimi, di antiparassitari ed assicurando ad essi anche un'assistenza tecnica. Il mio terreno, a parte le difficoltà frapposte dall'altitudine e dalla penuria d'acqua, si è in un primo tempo dimostrato idoneo alla monocoltura del tabacco, perché privo dei parassiti che rovinano le piante; ora, però, essi fanno danni anche da me, danni maggiori che altrove, poiché le caratteristiche climatiche impediscono ai miei tabacchicoltori la sostituzione delle piantina danneggiate.


 

La mamma delle cooperative oggi attive è stata la "Casalborese", fondata nel 1960 da 9 soci, poi divenuti 14,e durata fino al I969.

La "Casalborese" anch'essa cooperativa agricola di servizio, che ebbe come Presidente Resce Pasquale (Nicola) e la sede nella Torre, oltre ad assicurare ai soci la fornitura di maialini, di concimi, di anticrittogamici e di sementi speciali, provenienti dall'Emilia, li assisteva in tutti i campi, da quello pensionistico a quello sindacale. La presenza della "Casalborese" portò ad un deciso abbassamento del prezzo di vendita dei prodotti usati nel lavoro agricolo, di cui deteneva il monopolio il Consorzio Agrario, nato nel dopoguerra come una succursale di quello di Montecalvo e sito in Viale C.Battisti. La cooperativa generò anche una trasformazione nei rapporti fra proprietari dei terreni e coltivatori, i quali ultimi presero coscienza dei diritti riconosciutigli dalle nuove leggi.

Dalla situazione descritta emerge che qui da me c'è la volontà di intraprendere in agricoltura strade nuove, e le iniziative messe in atto nel settore delle cooperazione lo dimostrano. Però si va sempre a cozzare contro una serie di ostacoli, alcuni fisiologici altri istituzionali, che frenano gli slanci e impediscono il cambiamento e lo sviluppo. Quali sono questi ostacoli? Cominciamo da quelli individuali: 1)la scarsa assunzione di responsabilità da parte dei soci; 2)lo sfruttamento dell'esperienza acquisita nella cooperativa per fini personali; 3)la difficoltà dell'imprenditore locale nel gestire grandi aziende; 4)il ricorso alla doppia attività per accrescere il reddito familiare; 5)l'incapacità di valorizzare il prodotto offrendo al cliente garanzie sulla qualità. A tutto questo si aggiunge il fatto che le cooperative agricole operano qui in un settore in crisi a causa della competività delle aziende estere e del Nord, che sono all’avanguardia.

Le forze dei miei agricoltori sono impari a sostenere da soli la lotta, senza l'aiuto delle strutture pubbliche e quest'ultime, se pure intervengono, sono spesso in discordanza fra loro.

Bisogna tener presente, infatti, che la cooperazione richiede al socio di essere contemporaneamente datore di lavoro e lavoratore, due funzioni che è difficile far conciliare senza una particolare preparazione. Il socio, cioè, deve avere la capacità professionale di produrre con minore lavoro, di estendere la propria esperienza ad altri e al tempo stesso la mentalità imprenditoriale per far crescere la redditività dell'azienda di cui fa parte. E non basta. È necessario anche che il socio sia tollerante verso i comportamenti altrui per poter lavorare in armonia ed egli deve rendersi conto che l'associazionismo non è assistenzialismo ma sviluppo delle proprie possibilità produttive. Nel campo della cooperazione agricola, infine, deve imparare a gestire i tre assi del sistema, cioè la produzione, la trasformazione e la commercializzazione dei prodotti. Nulla di tutto ciò può essere fatto se il socio non ha entusiasmo, né un'adeguata preparazione culturale e professionale, né un'assistenza tecnica valida e continua.

Per fortuna, la situazione qui non è statica. L'interesse che verso il settore agricolo-alimentare si dimostra da più parti, non ultima la Scuola che con il Progetto Pilota Cee è intervenuta decisamente, e l'impegno profuso da alcuni miei figli, Resce Pasquale, Salvatore Vito e Perito Giovanni, che hanno lavorato intensamente per impiantare la cooperazione nel mio terreno, spingono ad avere fiducia in un miglioramento delle condizioni economiche di centri piccoli come il mio, i quali dai campi traggono la linfa vitale.